Quando bontà fa rima con pubblicità

A cura di Redazione

Buona non è l’azione, ma l’intenzione con cui la si compie. Kant, non ce la faccio proprio a darti torto!

Natale si avvicina e si moltiplica la bontà. Al minimo sforzo, sia chiaro. Ci occupiamo un’ora al mese di te, senza spendere troppo o lasciando che siano gli altri a spendere, magari con una bella raccolta di fondi, mentre esibiamo la nostra bontà e pubblicizziamo il nostro lavoro, fotografandolo, mandandolo in diretta su Facebook o Instagram, annunciandolo e celebrandolo nei più svariati modi. Fateci caso, le iniziative sono sempre legate al lavoro dei partecipanti, quasi non sapessero donarsi e donare altrimenti.

Queste iniziative forse sono utili, ma è chiaro che la ragione principale per cui vengono portate avanti non è quella ostentata. Sono dunque anche buone, oltre che utili?

Se lo chiedeva anche Immanuel Kant, dando al quesito una risposta inequivocabilmente negativa.

In una società in cui nessuno fa nulla per nulla non sono le azioni utili che mancano, ma le azioni buone. Quelle dettate dal “devi”, semplicemente perché “puoi”. Senza secondi fini, più o meno impliciti. Non si specula sulla sofferenza, nemmeno allo scopo di alleviarla.

Sarà la provenienza regionale, ma ho sempre presente l’insegnamento dei nostri avi: il silenzio rispettoso del gesto autentico.

Se possiamo aiutare qualcuno, facciamolo. Dobbiamo farlo. Ma non proclamiamolo, non fotografiamolo, non celebriamolo per celebrare noi stessi e pubblicizzare il nostro lavoro, qualunque esso sia.

L’amore in diretta è ancora amore? Anche la notizia che qualcuno ha bisogno si può comunicare con discrezione e senza speculazioni, nel caso in cui servisse un aiuto consistente.

Il silenzio è rispetto per chi riceve l’aiuto e dignità per chi lo dà. Anche il buon esempio si può dare senza clamore e lasciando fuori l’interesse personale. L’amore è anche sacrificio (vero non apparente) di sé.

A parte questo, non vi stancate mai di apparire?

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