Se il lavoro si fa poesia: a scuola con gli scrittori Giuseppe Cristaldi e Oliviero Malaspina

A cura di Zar@

Sabato 24 febbraio 2024, gli alunni della 3A del liceo scientifico “Michelangelo Pira” di Siniscola, in Sardegna,  incontreranno Giuseppe Cristaldi e Oliviero Malaspina, autori del libro Drammaturgia degli invissuti, pubblicato nel 2019 da Fallone Editore.

Giuseppe Cristaldi è uno scrittore e drammaturgo salentino, residente in Sardegna, mentre Oliviero Malaspina è un cantautore, poeta e scrittore pavese, conisciuto anche per essere stato il coautore di Fabrizio De Andrè per i Notturni, l’ultima opera del cantautore genovese rimasta inedita. Entrambi gli autori, nel corso della loro carriera, hanno ricevuto importanti riconoscimenti e dimostrato sempre grande sensibilità per i temi sociali.


La presentazione del libro sarà l’occasione per un dibattito sul tema del lavoro dignitoso e in sicurezza per tutti, nel quadro di uno sviluppo sostenibile. Il progetto di Educazione Civica e PCTO, giunto alla sua seconda edizione, riguarda temi e problemi che sembrano non avere una soluzione, dal momento che le cronache abbondano di incidenti sul lavoro, malattie professionali, morti che sono legati non tanto all’impossibilità di azzerare il rischio, quanto all’incuria, alla superficialità e alla smania di profitto che si unicono ad una consapevolezza non piena da parte degli stessi lavoratori. Ammettiamolo: non se ne parla abbastanza. Il lavoro è una cosa che riguarda tutti in qualche modo ed è ancora un diritto per la nostra Costituzione, ma non ha lo stesso appeal di altre questioni. La voce del Papa è una delle poche che insistono sulla correlazione tra lavoro e dignità umana. E quanta coscienza abbiamo del disastro ambientale che segna indelebilmente tante aree geografiche del nostro Paese e del mondo?

Gli alunni del “Pira”, coordinati dalla prof.ssa Traccis, hanno lavorato su alcuni estratti del libro, relativi a queste tematiche.

Tuttavia, Drammaturgia degli invissuti racconta  degli ultimi e dei marginali, che vivono una vita che stride con questa definizione o che la perdono in circostanze estreme. 

In 18 sezioni, Malaspina e Cristaldi narrano storie ambientate nel nord e nel sud Italia, alternando la poesia e la prosa, un po’ come fa la vita stessa. Sofferenza e dolore si mescolano a bellezza e speranza in un nuovo e diverso epilogo.

Gli alunni saranno protagonisti di tutte le fasi dell’organizzazione dell’evento, allo scopo di promuovere competenze trasversali utili per un orientamento realmente formativo, nel quadro di una scuola che educa attraverso la Cutura.

Baudolino-Umberto Eco: recensione

A cura di Zar@

Ansia mista a frustrazione. È lo stato d’animo con il quale ti accingi a “recensire” un gigante come Umberto Eco, senza sembrare uno di quegli “imbecilli”, a cui il web ha dato voce, di cui amava parlare questo grande filosofo, semiologo e scrittore.

Dirò una cosa semplice: romanzo storico, ambientato nel Medioevo,  nell’Italia padana dei tempi di Federico Barbarossa, per spaziare verso Costantinopoli e l’Oriente magico e misterioso, che val la pena leggere.

Vale la pena essere pazienti, scorrere le tantissime pagine, lasciarsi provocare e stupire, ma al tempo stesso istruire da Eco e dal personaggio principale del libro, il furfantello, geniale e creativo quanto bugiardo, che Federico I aveva eletto a suo figlio.

C’è dentro e dietro la storia dei conflitti tra l’imperatore e i comuni italiani del nord, ma c’è anche tanta fantasia che si intreccia a mito e leggende più o meno note, come quella del Santo Graal. Una storia filtrata dalle menzogne ben congeniate di Baudolino, talmente inverosimili da essere convincenti e appassionanti, sempre con un filo di ironia a dare sapore a tutto.

Leggete dunque, pazientate e godete di un racconto corposo e avvincente, tra storia, immaginario e immaginazione. Consigliato.

Spazio filosofico: riflessioni sull’IA

Redazione

La definiscono intelligenza aumentata o artificiale, a seconda degli usi e degli sviluppi. Ne descrivono le potenzialità e le chiamano progresso, con un entusiasmo a metà strada tra l’ingenuo e l’interessato. È l’argomento del momento.

I tg mostrano robot con le sembianze di umani o animali e spiegano che in un tempo non lontano saranno molto utili nei reparti pediatrici, dove interagiranno con i bambini, agevolando la raccolta di dati clinici e psicologici, mentre allevieranno, complici le sembianze giocose, il disagio dell’ospedalizzazione. Ne parlano come se tutto questo fosse non solo auspicabile, ma la migliore delle soluzioni possibili, celebrando le nuove magnifiche sorti e progressive. L’intelligenza artificiale – dicono – cambierà il mondo e cancellerà vecchi mestieri e professioni. Panta rei. Che problema c’è?

Nelle relazioni basate sulla cura, gli esseri umani sono insuperabili. L’intelligenza emotiva e l’empatia, il calore che nasce dall’essere di carne e di sangue, millenni di evoluzione umana e di umanesimo non possono essere surclassati da qualche algoritmo statistico. Bambini o anziani affidati a macchine, non possono essere la migliore delle soluzioni possibili. Sono la materializzazione del nostro utilitarismo e dell’indifferenza verso il prossimo, da scaricare a un automa che se ne deve sobbarcare l’onere.

La progressiva informatizzazione della società, che eleva gli ingegneri a nuove divinità, onnipotenti e provvidenti, ha il volto della disumanizzazione, se persino l’aspetto  psicologico ed emotivo delle relazioni interpersonali viene affidato ad una macchina.

Volete calore? Aggiungiamo una resistenza. Un abbraccio? Si può fare. Sono le tipiche risposte degli ingegneri. La verità scomoda è che chi non ha dimestichezza con l’animo umano dovrebbe tenersi alla larga dalla dimensione più profondamente umana delle cose.

La vera intelligenza, quella umana, è imperfetta. Ha una base emozionale e se ne fa condizionare, essendo frutto di una lotta per l’equilibrio tra ragione e istinti. La dimensione logico-matematica e linguistica sono solo alcune delle facce dell’intelligenza e la complessità delle loro interrelazioni non è replicabile. 

Abbiamo impiegato secoli a convincere i medici dell’importanza dell’aspetto psicologico e umano del rapporto terapeutico con il paziente e adesso puntiamo a sostituirli con i robot!

Gli educatori e il personale sanitario tutto, che ha nella radice della parola, vale a dire nell’essere composto da persone, il suo punto di forza, sono perfettamente adatti al compito che sono chiamati a svolgere. Un compito da umani che operano con umani. 

Il risparmio e la facilità con cui si possono programmare le macchine esercitano un certo fascino su chi ambisce al controllo, ma gli scenari potenziali vanno ben oltre la fantascienza, nei loro risvolti peggiori. La cautela è d’obbligo per una creatura intelligente, anzi razionale.

Nessuno disconosce il valore, in termini di utilità, della Techne, ma come di fronte ad un novello Prometeo, il dono del fuoco, elemento potentissimo, che forgia ma può anche distruggere, deve essere accompagnato dal senso etico.

Urge più che mai la Critica. Il suo esercizio libero e incondizionato, indomito, appassionato, umano. Questa società ha bisogno di filosofia, si capisce dal fatto che pensa di poterne fare a meno. Ha bisogno delle riflessioni di Emanuele Severino sull’inversione mezzo-fine e sulla Tecno-Scienza come ultimo dio. Se la tecnica diventa fine e l’uomo si riduce a semplice mezzo, dove è il progresso

La sfida quotidiana del limite da sempre offre possibilità creative (persino artistiche) grandiose, ma è anche ciò che fin’ora ci ha impedito di estinguerci, tenendoci al riparo da una volontà di potenza connaturata all’uomo al pari della creatività.

Bisogna ritrovare il senso e il valore del limite e farne tesoro, non avere timore di dichiarare l’umanità dell’uomo come dimora inviolabile del sacro. Lo sviluppo sia progresso oppure non sia.

Il correre non garantisce l’arrivo alla meta sani e salvi. A volte bisogna avere il coraggio di rallentare, per ritrovare il tempo della riflessione, del dialogo, dell’esame delle possibilità, dell’amore di sé e dell’umanità.

Omaggio al maestro Nivola

Il grande Gatsby, di F. S. Fitzgerald: recensione

A cura di Mauro Arca

Certo, stiamo parlando di un romanzo pubblicato da Francis Scott Fitzgerald per la prima volta il 10 aprile 1925, negli USA, ma personaggi e temi sono senza tempo e dunque anche dell’oggi. In altre parole ci esprimiamo su un classico della letteratura, uno di quei libri da leggere perché hanno riflesso e segnato un’epoca e che sanno parlare a tutti, sempre.

Il grande Gatsby è la storia di un uomo di umili origini che fa fortuna in un modo misterioso e non pulito, tra contrabbando e altri affari, dopo l’incontro con il ricco proprietario di uno yacht. Incontro e fortuna che lo portano a cercare di cancellare la propria identità per riscrivere da capo la propria vita, cambiando nome e residenza, tagliando quasi per intero i ponti con la famiglia di origine, liquidata con qualche foto e il regalo di una nuova abitazione.

Gatsby è un uomo che incarna il sogno americano, maturato negli anni venti, gli anni ruggenti che Fitzgerald racconta in modo realistico e al tempo stesso disincantato. Anni di benessere materiale e ottimismo, di gonne che si accorciano, di grandi feste e leggerezza, ma anche di speculazioni finanziarie e affari più o meno leciti, con l’Europa trasformata dopo la guerra in un gigantesco mercato per le merci e i capitali americani. Le grandi contraddizioni, tra slancio collettivo verso una libertà senza freni, suprematismo, maccartismo e proibizionismo, fanno da sfondo ad una vicenda personale narrata da un vicino di casa, presto diventato suo amico e in un certo senso la sua coscienza critica: Nick Carraway.

Quest’ultimo viene avvicinato da Gatsby, durante una delle sue tante frequentatissime feste, affinché possa organizzare un incontro con la cugina Daisy, la quale trascorre le sue vacanze con il marito Tom sulla costa settentrionale di Long Island, in una casa che si trova davanti alla villa del ricco contrabbandiere. Quest’ultimo la ama da 5 anni, dopo il primo incontro, quando le condizioni economiche modeste non gli avevano permesso di sposarla.

Il suo amore, tenace rappresenta la sola dimensione autentica e pura di un uomo che incarna i suoi tempi, materiali e frivoli, privi di scrupoli e indifferenti a tutto ciò che non sia volgare appagamento del proprio ego instabile. Tempi non tanto lontani dai nostri, a ben pensarci.
Gatsby si illude di ritrovare in Daisy lo stesso sentimento di cinque anni prima, finendo per amate per tutti e due e pagando in prima persona per l’impossibilità di far rivivere il passato.

La donna, come ogni personaggio del libro, non sa né sente il bisogno di amare e conduce un’esistenza posticcia, come il suo matrimonio, fatto di infedeltà e freddezza. Quando si macchierà di un crimine terribile, non esiterà a scaricarlo sull’unico uomo che l’abbia mai veramente amata, per continuare a vivere come se niente fosse.

Il finale tragico illumina l’infinita solitudine di Gatsby e la forza delle amicizie che nascono per caso e si rivelano più autentiche di ogni altro rapporto. Il libro è struggente, ma la scrittura è scorrevole, per cui non appesantisce il lettore, incantandolo con il fascino sfuggente del protagonista e la disamina critica della società di massa americana e più in generale umana. Da leggere!

La pioggia fa sul serio, di Francesco Guccini e Loriano Macchiavelli: recensione

A cura di Silvana Penna

La pioggia fa sul serio. Proprio così. Il romanzo giallo del grande cantautore Francesco Guccini, ormai votato alla letteratura, sua vera passione a quanto ripete spesso, scritto con il bravissimo Loriano Macchiavelli, il creatore del celebre poliziotto Sarti Antonio, si ambienta nel profondo Appennino, eroso anch’esso, complice l’incuria e il clima pazzo, da una pioggia battente che non vuol saperne di fermarsi.


La storia è quella di un geologo forestiero che sembra impegnato nello studio del territorio, scomparso misteriosamente e subito dopo ritrovato morto sotto una frana. La guardia forestale Marco Gherardini, soprannominato Poiana, deve dunque indagare insieme alla polizia sull’omicidio appartamente inspiegabile, destreggiandosi tra le sue vicende personali, che lo legano a Betty, la figlia di un architetto inglese che frequentava il geologo, e quelle dei personaggi del borgo di Casedisopra.

Pittoreschi quanto genuini, gli abitanti del paesello sull’Appennino emiliano, danno colore a una storia che coinvolge per la trama non scontata e per la capacità degli autori di renderti partecipe, quasi uno della famiglia allargata di Casedisopra, assaporando cibi, vini e storie, come si può solo lontano dall’omologazione spersonalizzante delle grandi città.

Guccini e Macchiavelli hanno una scrittura piacevole e raccontano un mondo, al di là dell’intrigo poliziesco.
Da leggere.

Infinita Maris, di Mirko Signorile: una promessa di riconciliazione

Lo spazio musicale di Eikasia oggi vi propone la recensione dell’ultimo lavoro del pianista Mirko Signorile: Infinita Maris. Buona lettura e buon ascolto! Zar@

Di Pasqualina Traccis

Il sound check è un anticipo di emozione, un rito di passaggio, dalle aspettative alla concretezza delle prime note e voci. Un modo per misurare ciò che sarà, ingannando la lentezza del tempo dell’attesa.

Il pianista Mirko Signorile arriva per primo sul palco, tra gli operai del service che lavorano in vista della tappa lanuseina del tour Euphonia Suite, di Eugenio Finardi. Quest’ ultimo lo raggiunge un po’ più tardi, insieme al sassofonista Raffaele Casarano. In occasione del festival Rocce Rosse Blues, il cantautore milanese presenta il suo ultimo album, che rivisita e correla in un crescendo spirituale vari brani della sua carriera e alcuni pezzi blues.

La finestra sul piazzale del concerto, mi permette di godere la brezza insolitamente fresca di questo 10 agosto ogliastrino e porta in camera la frenesia dei preparativi. Quando le voci degli operai si acquietano, sento levarsi sublimi le note di un pianoforte. Mi muovo verso la finestra, con la curiosità di chi cerca con gli occhi una conferma di ciò che già vede distintamente col cuore. La sapienza delle mani, la concentrazione e la passione di un pianista a me sconosciuto, che prende confidenza con lo strumento. Mi perdo nelle sue note, pregustando il seguito, mentre l’artista è già un tutt’uno con il pianoforte.

Euphonia non tradisce le aspettative. La suite interpreta in chiave dialettica momenti diversi del percorso musicale di Eugenio Finardi, eseguiti in chiave blues e jazz, con trasporto onirico e volontà di darsi al pubblico per ricevere qualcosa in cambio. Non l’applauso ritualistico, ma la sincerità delle mani che sfuggono al controllo, seguendo i tempi dell’anima anziché quelli dettati dalla successione dei brani. La voce graffiante e l’esecuzione delicata di Finardi, il sassofono ispirato di Casarano e il rapimento di Signorile al piano, ne fanno una co-costruzione di significati ed emozioni, che si traduce in un senso di stupore collettivo. Una sintesi di percorsi cerebrali e cardiaci, in cui ognuno può perdersi, per ritrovarsi, insieme agli altri, in una destinazione comune, catartica.

Il pianista è uno spettacolo nello spettacolo, che lo riassume per intero, esaltandolo. Sento il bisogno di approfondire. Dopo un’esplorazione in rete, approdo all’ultimo lavoro di Mirko Signorile: Infinita Maris.

Il titolo scelto dal pianista pugliese è già una provocazione. Nel senso che chiama a qualcosa, ad un disvelamento, nella discordanza dei termini mare e infinito, quest’ultimo volutamente declinato al femminile. Del resto l’infinità del mare è già di per sé una provocazione e un enigma: il limite che apre all’illimite. Il mare è qualcosa da viaggiare, che porta lontano, verso nuovi orizzonti e sfide. Al tempo stesso è qualcosa che riporta: a riva, a casa, a sé stessi. Uno stimolo a oltrepassarsi e il bisogno di fermarsi a contemplare la ciclicità della vita, nell’eterno ritorno delle onde. Il video, sublime al pari dell’audio, mostra un artista, un uomo, di fronte al mare, all’alba di un nuovo giorno. Il bisogno di senso che sfugge alle parole e si sottrae al silenzio, per farsi musica. Una musica poetica, fisica e metafisica al tempo stesso, la melodia di un eterno che si replica nell’istante. Il suono del piano insiste, dialoga con la natura intorno, scavando nell’animo, per dissotterrare emozioni contrastanti, di calma e vitalità, come è nell’essenza del mare e dell’armonia musicale.

La composizione risuona dei colori del cielo e delle profondità del mare, del sacro che è in ogni alito di terra, della speranza che è in ogni nuova alba.

Regalarsi un momento di grazia è il minimo che si possa fare, per sottrarsi all’inconsistenza rumorosa dei tempi. Infinita Maris è una promessa di riconciliazione, mantenuta.

Infinita Maris è sulle principali piattaforme musicali

Introduzione a Nietzsche, di Gianni Vattimo: Recensione

A cura di Zar@

Il libro appartiene alla collana “I filosofi”, pubblicata da Laterza, che dedica ogni volume ad un ampio capitolo della storia della filosofia, concentrandosi su un autore o su una corrente di pensiero.

Il volume su Nietzsche non poteva che essere curato da Gianni Vattimo, grande filosofo e cultore del controverso e affascinante pensatore tedesco che rappresenta, nella definizione di Emanuele Severino, una delle “voci dal sottosuolo” che hanno improntato l’Occidente, imprimendogli una svolta culturale di cui la nostra epoca è figlia.

Il libro introduce alla filosofia Nietzsche, dalle primissime opere filosofico-filologiche al Prospettivismo dell’ultimo periodo della sua produzione, chiarendo concetti e passaggi chiave di un pensiero programmaticamente asistematico e multi sfaccettato, nella forma come nei contenuti, pur non mancando di una struttura metafisica di fondo, come sottolinea Vattimo.

Quest’ultimo chiarisce anche l’opportunità di tradurre il termine chiave nietszchiano di Übermensch con l’espressione “oltreuomo” piuttosto che con la più nota espressione “superuomo”.

Il libro consta di 113 pagine, dense e inevitabilmente complesse, considerato il filosofo di riferimento, ma si legge con grande interesse e piacere se si ha una infarinatura del pensiero di Nietzsche e si posseggono buone basi filosofiche.

Si tratta di una lettura che introduce alla lettura delle opere di Nietzsche o che può accompagnarla in modo illuminante, offrendo notevoli spunti di riflessione sul presente, in particolare sul tema del nichilismo. Consigliatissimo!

La caverna, di José Saramago: recensione

A cura di Mariposa

Occorre una buona dose di coraggio o di sfrontatezza per parlare tiepidamente di un romanzo del grande Saramago, scrittore geniale, oltre che Premio Nobel per la letteratura.

In questo caso, sarà forse per le aspettative troppo alte, data la mia formazione filosofica e il riferimento a Platone dell’intera opera, evidente fin dal titolo, devo dire che il romanzo non mi ha esaltato come gli altri, nel senso che, molto banalmente, mi aspettavo di più. A tratti l’ho trovato un po’ pesante, troppo analitico nell’illustrare il lavoro di vasaio. Aggiungo subito però che vale decisamente la pena leggerlo, nonostante questa sensazione di sottofondo.

L’idea di interpretare la vita del vasaio, protagonista dell’opera con la sua famiglia e, al tempo stesso, l’intera contemporaneità, attraverso il sempiterno mito della caverna, è molto buona e la scrittura come sempre originale. Il libro, inoltre, offre spunti interessanti di riflessione sulla realtà attuale.

La caverna di Saramago ripercorre il cambiamento di vita, che si impone al vasaio Cipriano Algor, nel momento in cui il misterioso Centro, che rappresenta il fulcro commerciale della zona, decide di interrompere il rapporto con la sua fornace, in quanto le stoviglie in ceramica non si vendono più, susclassate da quelle in plastica, mentre le statuine, proposte dalla figlia Marta come alternativa, non risultano gradite al consumatore moderno.

Nel frattempo, il genero di Cipriano, assunto come guardiano residente del Centro, vi si trasferisce con la moglie, accogliendo in casa anche il suocero, rimasto senza lavoro e dunque impossibilitato a sposarsi con la vicina, che ne ricambia l’amore.

Inizia così, la nuova vita della famiglia Algor all’interno del Centro, una sorta di città nella città, racchiusa tra mura spesse e finestre che non si possono aprire per non disperdere l’aria condizionata, che esprime la in modo molto efficace la modernità.

Quella degli abitanti del Centro è un’esistenza asettica e inautentica, condotta all’interno di una gabbia dorata. Il Centro è una sorta di mondo parallelo che riproduce, imitandoli, gli ambienti e i paesaggi del mondo esterno, ricostruito in modo da dare a tutti uno scopo commerciale, di consumo. Un mondo che è copia del mondo esterno, ma che presenta i tratti distintivi del modello, nella sua perfezione artificiale.

Dentro, infatti, si vive un’esistenza agiata, comoda e consumistica, fatta di desideri indotti dalle tecniche pubblicitarie, governati dal marketing, che diventa esercizio di potere. Il mondo in cui si barattano la libertà e l’autenticità per la sicurezza e il benessere, mentre l’essere si identifica con il consumare. Soddisfazione dei desideri e sicurezza hanno come contraltare non solo controllo, ma anche la repressione della curiosità, dell’istinto di esplorazione connaturato all’uomo e della stessa volontà di verità, da ricercare andando oltre le apparenze.

Nessuno degli Algor è convinto della scelta fatta, ma la svolta decisiva arriverà soltanto con l’inquietante scoperta, nel sotterraneo del Centro, di un mistero, nel quale rispecchiarsi, per ritrovarsi nella propria umanità. Il finale è un invito ad uscire dalla caverna nella quale la modernità ci ha rinchiuso, a riveder le stelle e il sole che illumina ogni speranza.