Il figlio sbagliato, di Camilla Läckberg: recensione

Redazione

Il figlio sbagliato, romanzo di Camilla Läckberg, è stata una lettura agevole, intrigante e piacevole.

Questa scrittrice svedese di gialli, tra le più lette al mondo, rappresenta una scoperta interessante. Non colpisce tanto la scrittura,  lineare e semplice, diretta, ma non fuori dall’ordinario, quanto la capacità di raccontare storie che catturano il lettore, generando una certa suspense, dall’inizio alla fine.

Gli ingredienti sono quelli della società attuale, fluida e dedita alla carriera, al lusso e alla mondanità. Una società (e una letteratura) che vuole apparire tollerante, ma che pesca nel torbido e nel pruriginoso allo scopo di destare curiosità e interesse.

Anche se la vicenda, su cui indaga la coppia (ordinaria anch’essa) composta dalla scrittrice Erika Falck e Patrik Hedström, riguarda un gruppo di intellettuali libertari della Stoccolma alto-borghese che gravita intorno al Blanche, locale esclusivo per giovani talenti delle varie arti, l’approccio alla cultura è orientato al successo e viziato da scandali di varia natura. Il denaro e le amicizie importanti la fanno da padrone e anche l’amore si sgretola, con due sole semplici e genuine eccezioni, di fronte alla paura di perdere la propria posizione sociale.

Il libro narra di due omicidi efferati, inspiegabilmente collegati tra loro, cui fa da sfondo un terzo, datato primo anni Ottanta e maturato nel complesso mondo trans. Gli unici indizi sono le foto misteriose di un affermato fotografo, ucciso prima di una mostra rivelatrice delle menzogne su cui il gruppo di amici e intellettuali aveva costruito la propria esistenza e il proprio successo, insieme ad una camicia sporca di sangue.

La verità lascia un piccolo barlume di speranza, che fatica a splendere dato che in questa storia nessuno può dirsi innocente.

Da leggere!

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