L’anno della morte di Riccardo Reis: recensione del romanzo di Saramago

Redazione

Le idee di Saramago sono sempre geniali, c’è poco da dire. La scrittura è potente, accessibile, come un persona alla mano che ti giunge familiare, ma al tempo stesso profonda, esistenziale, a metà strada tra il poetico e il filosofico.

L’anno della morte di Riccardo Reis è sia il titolo che il protagonista del libro, con tutte le vicende personali del personaggio, alter ego di Fernando Pessoa, e quelle storico-politiche dell’Europa del 1936. La Seconda Guerra mondiale si avvicina e in Portogallo si respirano le premesse ideologiche e fattuali dell’immane nuova catastrofe. Il culto nazionalista di Salazar e la caccia alle streghe contro i cospiratori comunisti, la conquista dell’Etiopia da parte dell’Italia Fascista, le prime mosse di Hitler nello scacchiere europeo e la guerra civile spagnola, verso il regime Franchista, fanno da sfondo alla vita non vita di Riccardo Reis, alle sue avventure amorose e sessuali, ai suoi versi antichi, allo scambio di riflessioni sulla vita e sulla morte con il suo defunto creatore, il poeta Pessoa.

La vita di Riccardo Reis scorre lenta e senza un reale scopo, vagando raso terra, come lo spirito dei poeti.

Rientrato dal Brasile, non ha bisogno di un lavoro, sebbene operi come medico in sostituzione di un suo collega per un breve periodo. Vive a lungo in un Hotel dove si lega clandestinamente ad una cameriera, prima di trovare casa. Quando sfiora l’amore, accade con una donna troppo giovane, con un deficit fisico e lontana che non è intenzionata a ricambiarlo.

Più che vivere assiste alla vita, propria e altrui, per  rimettersi alla sua naturale conclusione, non appena i fatti eclatanti dell’anno in corso si compiono, ancora una volta senza il suo concorso attivo.

Unito nel destino al poeta che gli ha dato i natali, ne rappresenta l’ombra visibile. Ciò che il primo non ha saputo dargli, una vita tra la poesia e la prosa, si materializza grazie alla penna sempre suggestiva di Saramago.
Consigliato per la malinconica spontaneità che lo caratterizza e per il dialogo a distanza con il grande Fernando Pessoa.

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