A cura di Redazione
Il saggio di Emanuele Severino rappresenta una lucida e appassionata interpretazione filosofica della poesia di Leopardi, il quale vedeva nell’alleanza tra poesia e filosofia l’ultimo rifugio della natura e la suprema elevazione dell’uomo di fronte alla nullità del tutto.
La potenza con cui si coglie e si sente la morte, nelle opere di genio, restituisce all’anima una temporanea quanto illusoria vitalità che è anche amore per l’uomo, ancora di salvezza in un contesto di distruzione che la rende impossibile. Il divenire che produce e annienta ogni essente, lascia in essere quel fiore profumato, la ginestra leopardiana, per il tempo che basta a consolare il deserto che rappresenta la verità dell’esistenza, in attesa dell’esplosione del nulla.
Il pensiero di questo sublime poeta, anticipa Nietzsche con il suo nichilismo, andando oltre il Nirvana schopenhaueriano, per segnare il tramonto della fede occidentale nelle menzogne salvatrici, da dio al paradiso promesso dalla Tecnoscienza.
Non c’è salvezza possibile, sembra ribattere Severino, ma solo angoscia e disperazione, senza la consapevolezza dell’errore logico che, da Eschilo in poi, ha alimentato la fede occidentale nel supremo divenire che inghiotte ogni essente. La salvezza non è illusione, ma verità. Una verità non colta, ma incarnata dalla potenza dell’illusione ultima della poesia.
Il grande filosofo ha la capacità di rendere affascinante e poetica l’analisi di ciò che rappresenta l’opposto dell’analisi, la parola poetica. Pertanto, consiglio questo libro di Severino a tutti, in particolare agli amanti di Leopardi e della poesia, a coloro che subiscono il fascino e la forza ammaliatrice della filosofia.
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