Furore di J. Steinbeck: recensione

A cura di Zar@

Mentre l’intelligenza Artificiale diventa il tema del momento, tra speranze e ragionevoli timori, decido di leggere Furore di Steinbeck, un classico della letteratura americana.

L’autore nel 1962 vinse il Premio Nobel per la letteratura per la sua scrittura realistica e immaginativa, dalla grande sensibilità e dalla percezione sociale acuta.

Questo bel romanzo, da leggere per capire il passato, ma soprattutto il presente e il futuro, racconta dell’America rurale che conosce il progresso delle macchine agricole, della grande proprietà capitalista che scaccia i braccianti dalle terre che lavoravano e dalle case che abitavano da una vita, finite in mano alle banche, che li sostituiscono con i trattori.

La macchina e il profitto di pochi costringono la famiglia Joad, insieme a migliaia di altre, a una lunga marcia, lungo la la Route 66, verso la California dei frutteti e del cotone, che prometteva lavoro e paghe dignitose. I volantini distribuiti ai braccianti parlavano chiaro: la perdita della terra e il lungo viaggio sarebbero stati compensati da una vita migliore al caldo sole della California.

Il viaggio della speranza si svolge tra mille peripezie e disagi, dipingendo il profilo di una famiglia unita, nel bene e nel male, dopo aver ritrovato Tom, il figlio maggiore finito in carcere e ora libero sulla parola. La figura di Tom e quella della madre rappresentano i personaggi più forti e interessanti dell’opera, sebbene ognuno dei membri della famiglia Joad lasci un segno nel lettore, persino la fragile Rose of Sharon, apparentemente secondaria.

Fame e difficoltà accompagnano il viaggio verso un lavoro che diventa sempre più dubbio, nelle voci e nei racconti delle persone incontrate lungo il cammino. La promessa californiana si rivela in realtà un ingannano, perpetrato dai capitalisti per poter sfruttare il lavoro dei braccianti, mentre il trattamento disumano si traduce in miseria, morte e rabbia.

Furore racconta dei “rossi”,  vale a dire i pochi che cercano di organizzarsi in un sindacato per sottrarsi alla condizione disumana di lavoro e di vita di troppi, perseguitati dai padroni dei campi e dagli sceriffi che li spalleggiano e aiutano nell’impedire pgni forma organizzata di lotta. Racconta la solidarietà del povero, capace di condividere il niente e di trasformare la morte in linfa vitale. Racconta dell’unione che fa la forza, ma è difficile da ottenere, di una rabbia antica e genuina che non sa tradursi in cambiamento.

L’uomo non è il suo lavoro, ma quando quest’ultimo diventa superfluo, perde ogni dignità e diventa asservito al progresso che non è altro che il vantaggio di pochi e la paura di tanti che devono chinare la testa e adeguarsi. Finché la fame e la privazione di dignità non si trasforma in furore.

Poetico, commovente, forte e denso di spunti di riflessione. Da leggete.

Guerra o pace?

A cura di Simonetta Sansoni

Quanti sono gli scenari di guerra aperti nel mondo? I numeri dicono che sono troppi.

Fuoco e fiamme, morte e devastazione, minacce e tentativi maldestri di mediazione sono diventati pane quotidiano per un mondo che sembra essersi arreso alla guerra.

Gli appelli per la pace giungono dalle solite voci isolate, come quella del Papa e di chi manifesta contro le guerre e i massacri in corso, lancia petizioni, scrive articoli e promuove  flash mob, sventola bandiere e appende lenzuola bianche. Sono voci inascoltate e senza forza, sebbene rappresentino la maggioranza degli esseri umani: un vero paradosso.

Volontà di potenza e interessi prevalgono sull’aspirazione della stragrande maggioranza delle persone, sul puro e semplice istinto di sopravvivenza dei più. Le guerre iniziano, proseguono, si fermano e ricominciano come se niente fosse. 

Il perché se lo sono chiesti in tanti, ma la risposta siamo noi. Noi che siamo sempre in guerra gli uni contro gli altri, nel lavoro, nell’accesso a un concerto o a una visita medica, nella vita di coppia, nel rappprto con i nostri figli e genitori e in quello non meno tormentato con noi stessi.

Siamo noi che non diciamo no alla guerra nel modo giusto, con la necessaria costanza e veemenza. Siamo noi che siamo indifferenti alla sofferenza altrui, noi che disprezziamo il prossimo anziché amarlo, noi che siamo solidali solo per appartenenza politica o per mestiere, da veri professionisti del sociale, pedine ipocrite che non scoraggiano i cosiddetti grandi, i potenti, dal decidere sulla nostra pelle dell’ennesima guerra.

Abbiamo bisogno di un capobranco e di bandiere per scendere in piazza e dire che non vigliamo né uccidere né morire. Non siamo in grado di rinunciare al benessere che nasce anche dalla produzione e dalla vendita delle armi. Non disprezziamo la scienza che arma il potere, la chiamiamo progresso come la scienza che salva vite umane, come se non ci fosse un’etica che va rispettata in qualunque ambito dell’umano sapere e vivere.

Noi esseri umani siamo vittime e complici di ogni guerra e ne siamo la radice.

Eppure un anelito di pace è in ognuno di noi. Un flebile soffio di conciliazione o pacifica coesistenza. Da millenni attendiamo che si faccia vento, tempesta, bufera, uragano.

A guardarsi intorno non è ancora giunto il momento, decisamente.

Al cantautore e poeta Oliviero Malaspina il prestigioso Premio Civilia 2025

A cura di P. Traccis

La locandina dell’evento

Il prestigioso Premio Civilia– Cultura, Parole e Musica- alla canzone d’Autore, 15^ edizione, è stato assegnato al cantautore, poeta e scrittore Oliviero Malaspina.

La premiazione è avvenuta presso il teatro comunale di Nardò (Lecce) il 24 maggio 2025. 

L’artista pavese noto, tra le altre cose,  per essere stato l’ultimo coautore di Fabrizio De André, nella stesura degli incompiuti Notturni, non ha potuto presenziare alla cerimonia di premiazione per motivi indifferibili. 

Il suo ringraziamento è arrivato con una nota scritta breve, ma  significativa, con la quale l’artista ha sottolineato il piacere e persino il dovere della condivisione dell’ennesimo riconoscimento con quanti hanno lavorato negli anni insieme al lui.

Sono quelle cose che spesso si dicono senza troppa enfasi e talvolta in maniera frettolosa,  a chiusura di discorsi compiaciuti, fortemente incentrati sulla propria persona.

Oliviero Malaspina, invece, ne fa il succo e il senso del comunicato di ringraziamento rivolto alla commissione artistica e organizzativa, nella consapevolezza che nessun artista lavora e dunque merita da solo.

Così, mi vengono in mente tanti premi e riconoscimenti tributati ad artisti di ogni risma e livello. Il loro grazie ricolmo di ingratitudine per tutte quelle persone senza le quali non avrebbero né vinto né meritato alcunché. Quasi che l’ammettere che la musica sia un lavoro di gruppo, anziché come garanzia  di cura e di ricerca della qualità artistica, possa essere letto come il non essere abbastanza bravi per fare tutto da soli. 

Quanti citano gli autori dei testi e delle musiche delle canzoni che cantano, durante i concerti? Quanti li ricordano nelle interviste o in occasione di un premio? 

La riflessione devia dal tema dell’articolo, sebbene a mio avviso non troppo. 

La  canzone d’autore è un patrimonio da preservare da una morte che molti danno per certa, nonostante qualche sussulto di speranza legato agli ultimi sviluppi della musica visibile, quella che viene distribuita e pubblicizzata a dovere, avendo di conseguenza  la possibilità di essere  apprezzata anche nel 2025.

Anche l’eterna ed eterea poesia non vive un momento d’oro sul piano editoriale, per ragioni affini di mercato e di involuzione socio-culturale.

Entrambe, rappresentano un baluardo di umanesimo, in una società che ama definirsi progredita perché interpreta il cambiamento come vita, anziché il contrario.

In un mondo più calcolatore che razionale, c’è un gran bisogno di bellezza, come rimedio che unisce sensibile e sovrasensibile, rimandando al senso. Perché le mode passano, come pure i generi letterari e musicali, ma gli uomini restano. 

E alcuni sono ancora capaci di emozionare, stupire e raccontare in versi e musica.

Le canzoni di Oliviero Malaspina sono tra quelle che mi hanno allevata, a carezze e cazzotti, come fa la vita.

Le sue poesie mi hanno commossa, talvolta sbalordita, sovente scossa, in qualche caso perdonata. 

Gli devo molte lacrime e più di un sorriso, come essere umano intrappolato nella rete del proprio tempo, alla stregua di un pesce che piange e che ride, per dirla con il titolo di uno dei miei libri preferiti di Malaspina.

La poesia e la canzone d’autore vanno custodite e celebrate perché sono un fatto d’umanità, puro e semplice. Come il ringraziamento condiviso di Oliviero Malaspina per questo ulteriore, meritatissimo, premio. 

Per saperne di più su Oliviero Malaspina:

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Oliviero_Malaspina

Spazio classici della poesia: Minerva Jones, E. L. Masters

A cura di Sonia Alloi

A voi la poesia numero 21, dalla suggestiva e geniale Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters.

La poesia è dedicata ad una poetessa e crediamo che vada fruita e goduta nella lingua originale.

Buona lettura!

Poesia n°21

I am Minerva, the village poetess,

Hooted at, jeered at by the Yahoos of the street

For my heavy body, cock-eye, and rolling walk,

And all the more when “Butch” Weldy

Captured me after a brutal hunt.              

Spazio classici della poesia: Cesare Pavese

A cura di A. Bernard

Stasera ho bisogno di poesia e Cesare Pavese è stato un poeta meraviglioso. Condivido con voi una delle mie preferite che mi dà sempre una forte emozione.

Viva i poeti!

Hai viso di pietra scolpita,
sangue di terra dura,
sei venuta dal mare.
Tutto accogli e scruti
e respingi da te
come il mare. Nel cuore
hai silenzio, hai parole
inghiottite. Sei buia.
Per te l’alba è silenzio.

E sei come le voci
della terra &endash; l’urto
della secchia nel pozzo,
la canzone del fuoco,
il tonfo di una mela;
le parole rassegnate
e cupe sulle soglie,
il grido del bimbo &endash; le cose
che non passano mai.
Tu non muti. Sei buia.

Sei la cantina chiusa,
dal battuto di terra,
dov’è entrato una volta
ch’era scalzo il bambino,
e ci ripensa sempre.
Sei la camera buia
cui si ripensa sempre,
come il cortile antico
dove s’apriva l’alba.

5 novembre 1945

STI DAZZI!

A cura di Zar@

Amiche e amici, non si parla d’altro, per pvvie ragioni. Gli USA abbaiano e mordono, la Cina non sembra particolarmente impressionata, l’UE si piega e noi ci chiediamo che impatto avrà tutti questo sulle nostre vite.

Perché, non so se ci avete fatto caso, questa gente che in teoria dovrebbe rappresentarci gioca con le nostre vite.

Se rappresentasse me, di sicuro non parlerebbe di riarmo e di guerra. A volte si ha la sensazione che rappresentino chiunque tranne noi comuni mortali che vorremmo vivere in pace e immaginare un futuro di  speranza per i nostri figli.

Loro decidono e sono “dazzi nostri”.

Di fronte a tutto questo, noi continuiamo a proporre le nostre pillole di filosofia e gli articoli letterari o musicali, perché siamo convinti che il solo antidoto alla guerra, commerciale o militare, sia la cultura e la civiltà. Le persone colte e civili non possono che essere pacifiste.

A voi la pillola filosofica di stasera, nella speranza che ci si abitui al buon senso, al dialogo, alla pace:

“Noi siamo quello che facciamo ripetutamente. Perciò l’eccellenza non è un’azione ma un’abitudine”. 

               Aristotele

    Il vangelo secondo Gesù Cristo di J. Saramago: RECENSIONE

    A cura di Redazione

    Il romanzo di Saramago ripercorre la vita di Gesù di Nazareth, attingendo in parte ai vangeli apocrifi e in parte all’immaginazione, guidata dalla personale interpretazione dell’autore, di temi eterni come l’esistenza del bene e del male e il senso complessivo dell’essere al mondo.

    Se si trattasse dell’aspetto storico o teologico, verrebbe da dire “niente di nuovo sotto il sole”, ma non è così. Nel libro non ci sono soltanto le riserve e le obiezioni classiche, sollevate dalla ragione umana di qualsiasi epoca storica, Medioevo Compreso, di fronte la mistero della rivelazione, della fede in un dio che si fa uomo e che salva.

    Non c’è solo la consueta argomentazione contro l’esistenza di dio, a partire dall’esistenza del male e della sofferenza, dalla constatazione dell’ingiustizia e della sofferenza innocente o il voler evidenziare le contraddizioni, i paradossi, della narrazione evangelica e biblica.

    Intanto c’è una scrittura che non scopriamo noi, meravigliosa.

    Inoltre, l’immaginazione si somma alla ragione filosofica per rappresentare in maniera icastica il dialogo, il faccia a faccia, tra Dio e Satana, dall’esito inatteso e fantastico.

    Vale la pena leggere le pagine dense e dettagliate, seguire la narrazione lenta e intensa, per arrivare al fulcro di questo bel romanzo che rovescia la prospettiva assodata di un uomo dio e di un bene assoluto. Ci si emoziona, a leggere certi passaggi del libro.

    Non può mancare tra le letture di chi apprezza questo scrittore.

    12esima banda di Mirko Signorile: la musica intergalattica su RKO

    A cura di P. Traccis

    Ogni mercoledì alle 23:00 in punto mi collego su RKO, per mettermi in ascolto di 12esima banda, il programma radiofonico ideato e condotto dal pianista, compositore e improvvisatore, Mirko Signorile.

    È una musica verticale quella che dalla terra si leva verso il cielo, in un’ideale congiunzione intergalattica, per condividere con l’intero universo la meraviglia dell’essere al mondo e lo spettacolo di essere umani.

    La selezione musicale contempla vari generi, privilegiando il jazz, che il musicista pugliese interpreta da anni divinamente.

    Il risultato è un viaggio nel tempo e al di là di esso, verso ciò che non ha tempo, avendo emozioni da trasmettere e qualcosa da dire a ogni epoca.

    I brani attraversano grandi nomi della musica classica e perle contemporanee, trasportando verso mondi altri, tra ritmi dionisiaci e armonie apollinee, dentro il mistero sublime dell’ordine cosmico

    Sono sessanta minuti intensi, di puro godimento estetico, che lasciano anche spazio agli interventi del pubblico, alternando l’ascolto con piccoli momenti di riflessione sulla musica e sulla vita, sul loro legame imprescindibile.

    Mirko Signorile ci regala inoltre le sue composizioni e le preziose esecuzioni delle stesse insieme a tanti altri grandi musicisti.

    12esima banda è la potenza del jazz che amplifica la vita, la magia della musica che concilia con sé stessi e con il mondo, che consola e lava via nella bellezza ogni turbamento o pensiero negativo.

    È la bellezza come rimedio, come sintesi di sensibile e sovrasensibile che rimanda ad altro, a ciò che abitiamo, a ciò che immaginiamo o speriamo in modo ragionevole. In una parola: al senso.

    Quando una piacevole scoperta diventa un appuntamento imperdibile, ti viene una gran voglia di condividerla con gli altri. Consigliatissimo.

    I podcast del programma: https://rkonair.com/12esima-banda/

    Se una notte d’inverno un viaggiatore, di Italo Calvino. RECENSIONE

    A cura di Zar@

    Amiche e amici, ci siamo presi una pausa: ne sentivamo il bisogno. Come sapete, spesso gli impegni si accavallano e il tempo della bellezza si perde dentro il tempo della vita.

    Abbiamo deciso di riprendere il nostro percorso immaginifico da questo splendido romanzo, immancabile tra le letture di chi ama leggere e non vuole perdersi i classici della letteratura. Del resto il libro è proprio di questo che parla: la lettura.

    Questo romanzo è sorprendente e geniale, secondo il tipico virtuosismo compositivo di Italo Calvino. Sembra voler cogliere un ounto di vista inafferrabile per uno scrittore: quello del lettore. Sembra voler convogliare nel testo, ad un tempo, la storia che ha in mente e quella del lettore.

    Sembra parlare di te, il libro. Delle tue aspettative e della tua inafferrabilità di lettore, immaginando un mondo in cui la finzione è la sola verità possibile.

    Il racconto è una successione di titoli di altrettanti romanzi interrotti proprio sul più bello, in circostanze sempre più misteriose, nelle quali rientra una congiura internazionale e trova spazio anche l’amore tra due lettori alle prese con questo strano inseguimento di un libro che cambia faccia continuamente e che manca di un finale.

    Finale che poi è sempre lo stesso: il matrimonio o la morte dei protagonisti, vale a dire la continuità della vita o l’ineluttabilità della morte.

    Non ci si stanca di ricominciare da capo, ad ogni romanzo interrotto, perché Calvino sa accendere il desiderio di sapere come andrà a finire, nonostante emerga sempre più chiaramente la consapevolezza che non lo saprai mai. È un narratore abile nell’intrecciare la storia dei mille romanzi interrotti, quella dei lettori e la tua. Consigliato!