Recensione: l’uomo duplicato, José Saramago.

A cura di Marica Sole

L’autore non ha certo bisogno di presentazioni: il meritatissimo premio Nobel per la letteratura, nel 1998, parla da solo.
Il libro in questione si intitola L’uomo duplicato, edito da Feltrinelli, come tutte le opere del grande scrittore, poeta e drammaturgo portoghese.

Già il titolo e la copertina incuriosiscono, portando a sceglierlo tra tanti libri scritti dallo stesso autore.

La trama è originale, come al solito, per certi versi geniale.
Il libro racconta la storia di Tertulliano Maximo Alfonso, un professore di storia della scuola media, che già nel nome sembra recare la garanzia di un’assoluta unicità. Al contrario, durante la visione di un film di second’ordine, il professore scopre che al mondo esiste un attore secondario che sembra essere la sua copia perfetta. Da quel preciso momento la sua vita non sarà più la stessa.

La scoperta lo trascina in un vortice di sentimenti e di comportamenti contrastanti che raggiungono il culmine dopo l’incontro con l’attore.

A partire da quell’incontro, due esistenze (fino ad allora) medie acquistano una piega morale lontana dal vivere inquieto ma regolare del professore di storia, che inoltre fa emergere l’atteggiamento doppio e spregiudicato dell’attore, conducendo ad un epilogo tragico e inatteso.

Al di là della trama originale e della scrittura di altissimo livello, il libro è una riflessione sull’individuo, sul suo diritto di prelazione sull’esistenza che deriva dalla certezza (o dall’illusione) della propria unicità. Saramago sembra porre un quesito di stampo platonico: e se fossimo solo copie? E copie di copie? Come reagiremmo a questa scoperta? Potremmo sopportare questa condizione di esseri senza un’identità definita e indivisibile?

Il vero odio verso il prossimo, sembra dire l’autore, non è quello nei confronti del diverso, ma quello nei confronti del simile, o meglio dell’uguale.

Persuasi di essere irripetibili, pensiamo di aver diritto al posto che occupiamo nel mondo e proviamo rancore verso chi è troppo simile  a noi, mettendo in discussione la nostra certezza di essere l’originale e non la copia (una volgare copia).

Il libro si presta anche ad una riflessione psicologica sugli egoismi umani, sulle bassezze morali alle quali possono condurre. E inoltre sull’amore,  come paura del fallimento e indecisione eterna, o come porto sicuro da cui prendere il largo, nell’illusione che l’amore resti là ad aspettarci.

Davvero bello, da leggere!

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