Incontro con la solitudine 4: racconto in progress

A cura di Zar@

Ci si siede sul bordo di una vita, a contemplare se stessi e i propri insoluti. Ci si domanda dove e come ci si è smarriti e se un giorno sarà possibile incontrarsi di nuovo, con gli stessi grigiori negli occhi e le stesse vane speranze.

Io mi sono perduta per caso, come mi ero trovata. In un giorno di rose e liquore caldo, a primavera inoltrata, guardando un ambulante agitare il proprio coltellino svizzero di fronte al suo misero pasto. Una coltre di nebbia sottile e traslucida avvolgeva tutto e suggeriva una giornata storta, con il sole che cercava di insinuarsi tra il bianco vaporoso e la stanchezza dei pensieri.

Mancava un’ora al mio appuntamento con il destino, a me sembrava solo un inutile scorrere di tempo. L’ambulante schioccava le mani e digrignava i denti gialli, guardandosi intorno alla ricerca di acquirenti per le sue cianfrusaglie.

Non appena lo sguardo di un passante si posava su uno degli oggetti in bella mostra sul tappeto logoro, le sue labbra si increspavano in un tiepido e fugace sorriso, spento dall’affrettarsi dei passi in avanti, lontano dal suo spazio di vendita e di vita.

Non capivo come si potesse vivere di così poco, di speranze accese e subito spente, di chincaglieria e ammennicoli. Di strade intrecciate a vite superflue eppure indomite.

Il mio bisogno di silenzio contrastava con la routine cittadina delle persone e delle cose. Tenevo stretta la borsa a tracolla, aggrappandomi ad essa come all’ansia di perdere il treno. O di prenderlo. La decisione di partire era stata presa da giorni, ma il timore di non farcela era sempre più forte.

A quale approdo ero destinata, mi domandavo. Allora non sapevo che non mi sarei più sentita così sola in vita mia e che avrei rimpianto quella sensazione.

Gli artigli del mondo si sarebbero conficcati per sempre nella mia carne, rossa di sangue innocente e viva.

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