Redazione
Non si può dire che le donne si devono emancipare e devono essere finalmente alla pari con gli uomini e poi non agire, ognuno nel proprio piccolo, in questa direzione. Il dominio ha molte facce e sfumature. Fisico, psicologico, economico, sociale, culturale. Si alimenta di stereotipi, assenze grammaticali, ma soprattutto di opportunità mancanti. Non so se agire sulle prime due possa accelerare il superamento della terza grave insufficienza di una società ancora maschilista. So che snaturarsi per adattarsi all’uomo non è una buona idea, perché una copia è al massimo una buona imitazione, ma manca di autenticità e prima o poi viene smascherata. Di fatto ci si trova ad essere ancor di più al servizio dell’uomo, in nome di una eguale libertà, funzionale al suo dominio economico, sociale, culturale e fisico.
Chi non ti vuole prostituta non ti vuole libera. Chi ti vuole prostituta ti considera (sua) schiava. Oggetto, non soggetto di piacere. È lui che sceglie, tu vieni scelta, scegli di essere scelta, come un qualsiasi bene di consumo, con un prezzo. Tu non presti un servizio, lo sei. Sei servizio. Sei al servizio, come sempre.
Vero è che qualche passo in avanti va fatto, anche qualche passo falso, ma bisogna progredire. Occorre cambiare, riorientare la visione altrui e nostra della donna.
Leggevo che il ciclo rappresenta un problema per la donna, solo perché la società, dunque l’uomo, la obbliga alla linearità, a procedere dritta con impegni e oneri, non tenendo conto delle sue esigenze. Le aspettative sono nei suoi confronti le stesse che valgono per gli uomini e questo non è né giusto né inclusivo. Un mondo diverso è possibile? Deve essere a misura di donna per essere inclusivo e giusto? È giusto un mondo a che sia misura di alcuni e non di tutti? Est modus in rebus, occorre trovare un equilibrio tra le diverse esigenze e per farlo occorre sottolineare le differenze, non fingere che non esistano.
La parità nella diversità presuppone il riconoscimento della diversità e la sua valorizzazione.
Tuttavia oggi la diversità è diventata tabù o diktat stravagante, commerciale. In entrambi i casi va nascosta nella sua sostanza ed esibita, ostentata, nella forma. In altre parole la diversità oggi viene normalizzata perché possa essere accettata e per certi versi monetizzata. Ecco perché per designarla si usano suoni morbidi, sigle, inglesismi che la rendano glamour. Ecco perché ci si inventa una nuova normalità che stia a monte delle differenze. La pretesa di una neutralità che scansa o rinvia ogni differenziazione è la nuova discriminazione nei riguardi del diverso, un odio malcelato verso ciò che è naturalmente e incontrollabilmente differente. Oggettivamente.
Questa ossessione per il politicamente corretto più che censura è paura del diverso. Terrore di doverlo riconoscere per ciò che è. Bisogno di vederlo per ciò che non è per poterlo riconoscere e accogliere.
Le donne devono diventare uomini per poter affrontare il mondo o il mondo deve adattarsi alle donne perché si raggiunga l’agognata e sacrosanta parità? Entrambe le cose mi sembravano impossibili, ammesso che siano opportune.
La mia impressione è che si perda sempre più il senso della realtà.
Si dimenticano le questioni sostanziali, di diversa eguaglianza, prima di tutto economica e sociale, per inseguire quelle formali o immaginarie. Si pretende che tutti si viva una gigantesca farsa, in cui la realtà si perde a vantaggio dell’interpretazione, la si chiama inclusione, ma è solo una delle tante parole vuote con cui si pretende di cambiare il mondo lasciandolo esattamente com’è.
Giusto sensibilizzare, doveroso lottare, indispensabile educare e rieducare, ma senza dimenticare che, alla fine del processo, dobbiamo essere ancora tutti sani di mente e soprattutto tutti liberi. Un amore assoluto e incondizionato per la verità potrà giovare, mentre si punta dritte alla meta delle pari opportunità. Per un mondo che non sia delle donne o degli uomini, ma di tutti.