A cura di Zar@
Vivo una vita che è la mia condanna. Sepolta nel mio mondo interiore come in un volontario isolamento.
Non sento il bisogno dell’altrui presenza e non la disdegno, sarebbe la mia salvezza – a dire il vero – ma non la cerco.
Io non ho alcuna pretesa di salvezza, del resto. Sarebbe già sufficiente non fare a pugni col mio tempo. Abbiate pietà di questo mio rifiuto della vita ha ragioni lontane e radici ben piantate.
Quando avevo 12 anni pensavo di essere un’adolescente come tante, con un buon quoziente intellettivo e qualche problema a stare al mondo, forse, a stringere amicizie e relazioni durature. Una di quelle anime introverse e strabordanti di fantasia e complessi esistenziali. Sofferenti per necessità e per gioco. Allegre per caso e a intervalli irregolari.
Mi son dovuta ricredere. Zara che si fa oggi? Si studia o si esce? Spegni quella musica e lascia spazio alla vita vera, quella fuori da scuola e da casa. Ester, mi senti?
La vita vera. Quella dei cortili bagnati, delle strade roventi per il sole di mezzogiorno, dei jeans a zampa di elefante e degli sguardi furtivi dei potenziali amori.
La vita delle compagnie cui non ho mai saputo appartenere. Il gruppo, per me, era un concetto astratto. Un contenuto immaginato. Un sentito dire.
Non sono mai stata adatta alla vita vera. Questo è.