Lucernario, di José Saramago: recensione

A cura di Zar@

Lucernario è il romanzo d’esordio di un José Saramago che non è ancora José Saramago, il premio Nobel dalla scrittura originale, fin dalla punteggiatura, dalla narrazione coinvolgente e acuta, profonda nello scavo psicologico dei personaggi e nelle storie, tra il filosofico e il surreale.

Il piglio ironico e pungente è appena percepibile.

Il libro racconta sei storie di altrettante famiglie, che si dipanano nelle stanze di un condominio di Lisbona.

Storie di donne, frustrate e tradite, che inaspettatamente scoprono i piaceri dell’eros con l’uomo che più disprezzano al mondo: il proprio marito. Donne felicemente ingrassate che invecchiano accanto a una persona dal passato equivoco, donne sensuali, che fanno uso del proprio corpo per garantirsi una vita agiata o che assecondano il capriccio del principale per sottrarsi alla povertà di una famiglia per bene.

Saramago racconta, inoltre, di uomini tormentati, deboli, incapaci di gestire una libertà a lungo desiderata o vendicativi. Di un giovane libertario che cerca la sua strada.

Narra efficacemente di madri, zie e nipoti che vivono una vita spenta, ravvivata istantaneamente da un brano di musica classica alla radio, accesa all’improvviso da un’inaspettata morbosità.

Nel romanzo c’è la difficoltà del vivere in ristrettezze economiche, lo slancio utopico e il dramma tutto umano dell’incomunicabilità.

C’è un talento evidente più che latente, che di lì a poco sarebbe esploso. Coinvolge.

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