La vita e le opere di Francesca Mereu, giornalista e scrittrice dalla parte dei più deboli

A cura di Pasqualina Traccis

Eikasia ha ospitato le recensioni di diverse opere della giornalista e scrittrice sardo-russo-americana Francesca Mereu, recentemente scomparsa, all’età di 57 anni. Il nostro blog ne ricorda la figura e le opere attraverso l’analisi di una delle nostre penne più lucide e raffinate.

credit: Roger Stephenson Photography

Francesca Mereu, giornalista internazionale e scrittrice, nasce nel 1965 a Irgoli, in Sardegna, da una famiglia di artigiani. Quando dal Messico giunge la notizia della sua prematura scomparsa, nella casa natale c’è solo la madre Mariantonia Traccis, che tutti in paese chiamano Potoi. Suo padre Antonino è morto vent’anni prima.

Francesca amava la sua terra e il suo mare, le splendide spiagge, cale e pinete del Golfo di Orosei e come sempre si preparava a farvi ritorno per le vacanze estive, sebbene la Sardegna l’avesse lasciata molto presto, per laurearsi in Lingue a Firenze, approfondendo lo studio della lingua russa e inglese.

Nei primi anni Novanta, Francesca si trasferisce in Russia, dove lavora come giornalista e conosce il fisico Sergey Vassiliev, che diventerà suo marito. Vent’anni dopo si sposta in Alabama, negli USA, per seguire il marito scienziato. Prima del trasferimento oltreoceano, Sergey aveva ottenuto un incarico universitario a Düsseldorf, in Germania, dove la coppia trascorre due anni.

Pur essendo poliglotta e forse proprio per questo, quando rientrava nella sua isola, Francesca Mereu parlava principalmente il sardo, la sua lingua, nella consapevolezza che nelle parole ci sono le radici e che solo un albero con radici ben piantate può raggiungere le vette più alte.

Questa stessa consapevolezza, unita alla curiosità per la realtà altra da sé, ne faceva una giornalista e un’autrice, più che internazionale, cosmopolita.

Francesca, che viaggiava spesso e aveva nell’India una delle mete preferite, abitava il mondo con la passione per la vita propria della vera scrittrice.

Amava i luoghi e la gente, di cui raccontava la storia e la cultura per averle entrambe vissute, in modo puntuale e nel contempo partecipato. I suoi libri spaziano dalla cronaca giornalistica al viaggio emozionale, rigoroso e documentato, del romanzo storico, fino al pathos dell’opera teatrale.

Francesca Mereu aveva iniziato la carriera di giornalista come corrispondente da Mosca e dalle Nazioni Unite per la radio americana Radio Free Europe/Radio Liberty, trascorrendo inoltre sei anni al The Moscow Times, per il quale si era occupata di giornalismo investigativo, coprendo la politica interna e i servizi di sicurezza russi. I colleghi di allora la ricordano con affetto per la “straordinaria personalità e le doti professionali“. I suoi reportage da Mosca sono stati pubblicati dall’International Herald Tribune, dal The New York Times e da numerosi giornali italiani.

Nel 2011 aveva esordito come scrittrice, pubblicando il suo primo libro L’Amico Putin. L’invenzione della dittatura democratica (per Aliberti Editore) e nel 2018 aveva replicato conIl Grande Saccheggio (per Le Mezzelane Casa editrice), dedicato alla difficile transizione della Russia dal Comunismo al Capitalismo, durante la quale erano emersi gli Oligarchi, nelle cui mani si era concentrata gran parte dei beni dell’URSS, smembrata e precipitata nel caos economico-sociale e nell’instabilità politica. L’autrice racconta come questi ultimi, in accordo con il KGB (divenuto FSB), avevano deciso di affidare le sorti proprie e dell’intero Paese al giovane, sconosciuto e apparentemente innocuo, uomo dei servizi segreti: Vladimir Putin.

A marzo del 2022, arriva in libreria anche il suo Putin. Dentro i segreti dell’uomo venuto dal buio. Da San Pietroburgo all’Ucraina (Aliberti Editore), presentato all’ultima edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino. Il libro approfondisce la figura dell’uomo del momento, con interessanti aggiornamenti riguardanti la guerra in corso e la comunicazione datane dal Cremlino, che Francesca seguiva con attenzione viva, date anche le radici russe e ucraine del marito. Non a caso aveva deciso di devolvere il ricavato dalla vendita del libro alla popolazione ucraina.

La Mereu è stata anche autrice di libri ambientati nel profondo sud degli Stati Uniti, come Quando mi chiameranno uomo?, pubblicato nel 2018 (Le Mezzelane Casa Editrice) e di diverse opere teatrali, due delle quali sono state pubblicate nell’aprile del 2016 nel libro Profondo Sud (Edizioni Tripla E). Opere dedicate alla nascita del Blues, nel contesto delle lotte per i diritti degli afroamericani.

Quello per il blues, da parte di Francesca, era un amore viscerale, che l’aveva portata a scriverne anche per importanti riviste italiane come Il Blues e Il Giornale della Musica, oltre che a realizzare svariati podcast per il suo blog.

A voler ricercare un fil rouge nelle sue pubblicazioni, lo si potrebbe forse individuare nella difesa dei diritti umani, sempre dalla parte di coloro che sono oppressi da dittature, ingiustizie e discriminazioni.

Nel suo primo libro, la scrittrice illustra la figura del “dittatore democratico” Vladimir Putin, ricostruendo la storia del suo avvento al potere e descrivendo i metodi violenti e le tecniche di propaganda che gli hanno permesso di restare al potere, depotenziando l’opposizione, eliminando ogni voce di dissenso e creando l’ampio consenso dell’opinione pubblica nei riguardi della sua persona, che rappresenta uno dei punti di forza della sua presidenza.

Scrive Mereu: «Sotto Putin televisione e giornali hanno imparato a captare molto bene gli umori del potere e sanno per esempio che cercare il motivo per cui un reporter è stato ucciso non è cosa gradita al Cremlino».

L’autrice si spinge oltre, nel suo ultimo libro, facendo nomi e cognomi, in un lungo quanto triste elenco dei giornalisti che in qualche modo hanno rappresentato delle voci scomode per il Cremlino e che hanno perso la vita in “circostanze misteriose”, ufficialmente sganciate dalla loro professione. Tra questi c’è anche la Politkovskaja, giornalista della Novaja Gazeta nota per i suoi reportage sulla guerra in Cecenia, ritrovata morta nell’ascensore del suo palazzo a Mosca il 7 ottobre 2006.

Francesca Mereu aveva avuto occasione di intervistare tanti giornalisti russi sulla questione della libertà di stampa, argomento che le stava particolarmente a cuore, denunciando fino all’ultimo la censura e la repressione nei riguardi dei mezzi di informazione non allineati.

Al di là delle vicende storiche della Russia post comunista, l’aspetto più interessante delle sue opere è forse rappresentato dal racconto delle persone. Francesca racconta un’umanità sopraffatta dal trapasso, improvviso e violento, dal vecchio al nuovo sistema economico, sociale e politico.

I veri protagonisti sono la sua nuova famiglia: i genitori di Sergey, il nonno Ded Borya e la nonna ucraina; Marina, la docente che per mantenersi lavora part time come cuoca per una ricca ditta privata; gli anziani disperati che inveiscono contro la cassiera del supermercato perché i prezzi sono diventati troppo alti per la loro misera pensione; la signora che chiede alla commessa di toccare la confezione rossa dei Ritz, accettando con imbarazzo i rubli della giornalista che vuole toglierle lo sfizio dei cracker occidentali; i colleghi giornalisti imbavagliati dal potere.

Con l’implosione del blocco sovietico, la Russia aveva perso il proprio ruolo di potenza egemone ed era precipitata nel caos. A traghettarla fuori dalla crisi sarebbero stati gli oligarchi, il colossale affare del gas e il loro uomo di fiducia Putin, il quale per tanti diventa il simbolo del ritrovato peso internazionale del proprio Paese.

Yeltsin aveva promesso che nella Russia in fase di ricostruzione ci sarebbero stati “milioni di proprietari e non una manciata di milionari” con la garanzia di pari opportunità per tutti.
In realtà i russi vengono improvvisamente travolti da un capitalismo senza regole, fatto di termini incomprensibili ai più (come azioni, quotazioni, assets, mercato, borsa) e di speculazioni economiche e finanziarie. Nel contempo si definisce un quadro di dilagante illegalità, con il sorgere delle organizzazioni malavitose, sul modello italiano arrivato in Russia con film come Il padrino. Il libro spiega come questo cambiamento epocale abbia concentrato il potere economico nelle mani di pochi, destabilizzando e impoverendo le masse, predisponendo la società a guardare con favore all’uomo della Provvidenza.

A lasciare il segno nel lettore è lo scandaglio delle anime che attraversano questo complesso momento storico, con i suoi strascichi fino ai giorni nostri.

Lo stesso sguardo dal basso si coglie anche in relazione all’altro tema caro all’autrice: il lungo calvario degli afroamericani dalla schiavitù alla segregazione, alla criminalizzazione attuale.

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Quando mi chiameranno uomo? solleva, fin dal titolo, una serie di interrogativi: quanto è lungo il cammino verso la libertà e l’eguaglianza? Di quali atroci e insensate sofferenze è lastricato? Quando sarà che un uomo potrà essere chiamato semplicemente uomo, senza ulteriori e inutili specificazioni legate al colore della pelle o alla condizione sociale?

Il racconto si snoda lungo le strade e le città del profondo sud americano, tra queste Birmingham, in Alabama, città che aveva adottato Francesca Mereu, definita da Martin Luther King come “la più segregata d’America”. Si distribuisce nelle testimonianze di persone che hanno ereditato e tuttora vivono nel quotidiano una condizione di “diversa eguaglianza”.

Quelle narrate sono storie personali che si intersecano, ancora una volta, con la storia generale di una minoranza oppressa e martoriata, ancorché mai sconfitta. Raccontano di anime capaci di lotta e sublimazione della sofferenza nella magia del blues, genere musicale da cui Francesca era rimasta da subito folgorata. La giornalista ha intervistato alcuni tra i più grandi bluesman afroamericani, come Bobby Rush, il quale aveva ricordato come quel ritmo conquistò l’America e il mondo, dando origine al rock and roll.

Quest’ultimo era nato dal proposito commerciale di “riconfezionare e ripulire la musica nera per renderla adatta all’audience bianca”. Mereu spiega come il nuovo genere si sia appropriato della musica nera, spesso “dimenticandosi di citare gli autori e di pagare i diritti”. Ad esempio, artisti come i Rolling Stones dovevano tutto a Muddy Waters, rimasto per tutta la vita un umile imbianchino a fronte del successo internazionale della band. L’amore per il blues portava l’autrice, membra della Magic City Society di Birmingham, a frequentare assiduamente i locali in cui questa musica ancora oggi prende vita, oltre che a ospitare nella propria casa le esibizioni di vari bluesman.

Le vicende degli afroamericani sono raccontate in modo lineare, appassionante e onesto, senza celare al lettore gli aspetti più controversi, duri e scabrosi di una storia che contrasta con il sogno americano. Esso palesa infatti lo scandalo dell’ineguaglianza e della violenta sopraffazione nel Paese dell’opulenza, del modernismo e delle libertà.

Le parole dei protagonisti sono lacrime di umanità in un contesto di ingiustizia e disumana negazione di umanità, che ha origine nell’America schiavista, in cui nonna Marghareth «raccoglieva il cotone e componeva blues», nascondendo in fondo all’anima «il ritmo d’Africa che i genitori le avevano insegnato» che rappresentava «l’unica cosa che il padrone bianco non era riuscito a portarle via».
Nella narrazione dei discendenti degli africani deportati come schiavi nelle piantagioni americane, si ravviva il ricordo delle storiche marce sotto la guida del dott. King contro la segregazione razziale, dopo la fine della schiavitù.

Ci sono le infinite battaglie che hanno portato a vittorie effimere, a continue ridefinizioni dell’odio e delle modalità di discriminazione e separazione, testimoniate ancora oggi dalla cronaca nella disparità di trattamento da parte delle forze di polizia e della Giustizia americana.

Gli stessi temi sono presenti nelle opere teatrali di Francesca, che uniscono la lucidità delle parole alla potenza della musica in un effetto altamente emozionale. Con i suoni tristi e taglienti del blues a lenire la pena, a ritmare le vite di coloro che ancora, nella denuncia forte dell’autrice, aspettano di essere considerati semplicemente e pienamente uomini.

Questa denuncia, insieme alla luminosità di un sorriso che conquistava tutti, è l’impronta profonda lasciata dall’autrice che ha voluto raccontare la storia e la contemporaneità dal punto di vista dei più deboli, con vicinanza attiva e sentita.

Clicca per saperne di più sull’autrice

https://francescamereu.com/about-chi-sono/

Il suo ultimo libro

https://www.amazon.it/Putin-segreti-delluomo-Pietroburgo-allUcraina/dp/8893235080

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