Recensione: Suite francese di Irène Nèmirovsky

A cura di Zar@

Suite francese, libro pubblicato dopo la morte dell’autrice Iréne Némiroski in un campo di sterminio, è un collage di storie che si amalgamano senza che ogni tassello di vita perda la propria particolarità.

Lo sfondo non è uno sfondo ma un primo piano rappresentato dall’angoscia della Seconda Guerra Mondiale che si abbatte sulla Francia portando, in un lampo, alla capitolazione di Parigi e di ogni certezza di serenità ritrovata dopo la Prima.

Le bombe sui civili sono una novità assoluta, come l’esodo di massa che vede i francesi in fuga dalle città in cui si combatte contro i tedeschi. Nella fuga si incrociano il destino del ricco banchiere senza scrupoli, della frivola amante da lui abbandonata per la propria famiglia, delle persone più modeste che vanno a piedi, delle persone più ricche che si portano dietro tutto ciò che hanno, dimostrando con questo stesso atto il proprio morboso attaccamento ai beni materiali e la decadenza di una civiltà ad un bivio.

La Nemiroski dipinge un quadro corale impietoso e desolato, lucido e lirico al tempo stesso, sottolineando con efficace sarcarsmo i vizi e le debolezze dei francesi.

Ben presto sulla Francia si abbatte l’onta dell’occupazione nazista e del collaborazionismo.

L’amore, passionale e innocente al tempo stesso, tra una giovane francese e un soldato tedesco di stanza nella sua casa, sembra dare un po’ di colore alla vita contrapposta delle persone uguali ma nemiche. Tuttavia è solo una dolce illusione che svanisce con la chiamata al dovere, da entrambe le parti.

Un libro che coinvolge e scorre velocemente. Da leggere.

Poesia per la Sardegna che brucia

Oggi pubblichiamo una poesia dedicata a una terra che mi ha conquistata e che amo profondamente. Gli incendi sono una piaga terribile e insensata che ogni anno feriscono le nostre regioni più belle e incontaminate, complice il cambiamento climatico. Per ricordarci che ognuno di noi gioca un ruolo importante nel prevenire e nel condannare queste azioni spesso dolose. A presto, Zar@

A cura di Angela Sani

Un inferno di cenere

Avvolge il tuo manto verde

Mentra la traccia dei millenni

tra il fumo denso si perde.

Lacrime di rancore

scorrono inarrestabili

A voler confortare

di pioggia

la terra arsa

e le vite

pugnalate al cuore

della storia.

Non si toccano le donne,

in Sardegna

non è permesso,

questa terra è donna,

Madre feconda

di bellezza e cura.

Dov’è il vostro sangue?

Chi ha permesso l’orrore

del ventre profanato?

Dove sono

I tuoi figli

Oggi?

Lacrime dal domani

Redazione

Spiriti di luce affogati nell’ombra di una notte arcuata, indecisa, come una nota stonata nel silenzio attonito del mondo.

La tua voce arriva da lontano e mi sbroglia il sangue nelle vene.

Sei primavera di corbezzolo, di api e di miele amaro.

Il gioco folle e crudele di due anime bambine.

La danza immobile di una genuina finzione.

Caldo come un frutto proibito e innocente come una cicatrice nel cuore.

Sei la terra che sorregge i passi scalzi, incerti, nel cammino di una passione acerba e colpevole.

Ardi di neve sciolta al sole di febbraio.

Profumi di niente. Sei il peso di un’assenza. Il sollievo di un dolore vivo.

La mia sconfitta più preziosa.

Incontro con la solitudine 6: racconto in progress

A cura di Zar@

Può sembrare azzardato e forse lo è. Tuttavia non ci sono tante persone capaci di incuriosirti, di farti ridere piangere e battere il cuore fino a farlo detonare. Persone che accendono la miccia dei sensi ad ogni sguardo, sorriso, parola o sussurro. Ad ogni pensiero.

Che ami senza un motivo che non sia l’amore.

Quando ne incontri una, dovresti poterle dire ciò che senti, che sia utile o inutile, non è importante. Se non lo fai, rischi di rimanere intrappolato per sempre nella tua prigione interiore.

Le fantasie che organizzano le tue evasioni, sono false amiche. Serpi che ti mordono il seno come figlie del demonio. Il solo modo di liberarsi è dare un nome alle proprie emozioni e pronunciarle a voce alta. Senza ritegno e paura. Senza colpa.


Se questo coraggio manca, può essere questione di tempo o insufficienza d’amore. So che sembra un controsenso, ma in questi casi si vive il parossismo, sentendolo affiorare dalle viscere per tracimare negli occhi.


Qui è tutto bellissimo e avvolgente, come un respiro che soccorre il tuo quando è flebile e lo ammansisce quando è concitato. Le luci e le frenesie del lavoro e dello svago, non possono vincere la battaglia contro l’eterno.

Il privilegio delle radici è qualcosa che può comprendere solo chi ne è custode. La certezza che gli effetti tangibili della globalizzazione, da McDonald’s a Ikea, sono effimeri e incastonati in un contesto altro. Di natura e cultura invincibili e prevalenti.

Il parco da cui ti scrivo è un’incredibile varietà di rosa di verde e di violetto, che pende in avanti come un invito. Delicato nei fiori, pungente negli odori, generoso nei frutti. Il fiume scorre, placido e metodico, indorando di freschezza l’aria già estiva.


Non c’è una ricetta universale: ognuno ha la propria infelicità. A volte occorre dissodare l’anima, muovere il terreno delle proprie emozioni, per renderlo ancora fertile, adatto al seme del tempo nuovo.

Riesci a sentirlo, il suono dell’amore, quello non detto?

L’angolo della poesia: Sebastiano Satta

A cura di Dora M.

Care amiche e cari amici, vi proponiamo una struggente poesia di Sebastiano Satta, autore poco noto al di fuori della sua straordinaria terra: la Sardegna.

Sebastiano Satta è stato un poeta, scrittore, giornalista e avvocato di grande talento e spessore, nato a Nuoro nel 1867 e morto nel 1914 nella stesso capoluogo sardo. Le sue opere raccontano le persone più umili e scavano in profondità cogliendo problemi, vizi e virtù del popolo barbaricino di quel periodo storico.

La poesia è dedicata alla figlia, tragicamente scomparsa quando era ancora bambina.

Sepulta Domus

Mi dicevan: — Fulano

È ricco, ha molti armenti,

Ha vigneti e fiorenti

Pomarî ai poggi e al piano.

È assai ricco Fulano!

Ed io cantavo nel mio cuor fedele:

Ah! più grande tesoro

Mi ho io nella mia casa:

Una figlietta, una bambina d’oro

Che raggia d’astri tutti i miei pensieri

bambinabambina!

Ed ecco tu sei morta.

Ed io non ho più nulla;

invidio ora il mendico

Che  nel cavo della mano al figlio

L’acqua delle fontane;

invidio anche il tapino

Che torna all’abituro senza pane

trova il figlio laceropiangente

Nella tenebraprivo

Di ogni cosa, ma vivo!

L’amore ai tempi del colera: recensione

A cura di P. Traccis

L’amore ai tempi del colera non è un classico, ma uno sfrenato e travolgente inno alla vita. 

Si può attendere per 53 anni, 7 mesi e 11 giorni, di essere ricambiato dalla più bella ragazza del Caribe?

Quanti Florentino Ariza ci sono al mondo? E cosa li spinge a perseverare nel loro sentimento incrollabile, nonostante le minacce del padre, il rifiuto glaciale e repentino della ragazza, il suo matrimonio di buona società con il dottor Urbino?

Che cos’è l’amore e perché non basta a se stesso? Perché ha bisogno di un oggetto  che lo inveri?

Non saprei dire se Gabriel Garcia Marquez – autore che non ha bisogno di presentazioni – risponda a queste domande o le lasci in sospeso, in questo suo libro del 1985, edito da Oscar Moderni, nella traduzione di Angelo Morino.

La giovane Fermina Daza lo considera solo un’ombra,  ed è questo che Florentino diventa: l’ombra di un uomo che non è mai esistito.

E nell’ombra si ricama un destino degno della creatura dalla lunga treccia sulle spalle, che vede improvvisamente trasformarsi in dama. Pronto a conquistarsi uno spazio residuale nel suo cuore di vedova.

Signora e padrona di una dimora che assume le fattezze e la sostanza di una prigione dorata, Fermina intanto vive una lunga vita coniugale senza amore e senza libertà.

Non le mancheranno il denaro, il prestigio e la solidità di un buon investimento sociale. Le sarà concesso di  servire suo marito con dedizione, anticipandone i bisogni e rendendosi degna dei suoi sfizi. Potrà inoltre viaggiare in Europa, visitare Parigi, volare su una mongolfiera al di sopra del colera, che attanaglia la gente comune tingendola di un blu spettrale.

La signora Urbino non dovrà più preoccuparsi di niente, men che mai di essere felice.  Del resto il matrimonio non deve essere felice, ma garantire stabilità. 

Le sigarette fumate di nascosto in bagno sono quanto rimane del suo animo selvaggio e ribelle, fiaccole di un’ effimera libertà.

In tutto il tempo trascorso col dottore, nonostante il calvario matrimoniale e l’odore acre del tradimento, Fermina non immagina per sé un destino diverso e non pensa più a Florentino, se non con indifferente compassione. 

Il giovane che le scriveva lettere d’amore struggenti e ispirate, si trasforma da gracile poeta in direttore della compagnia di navigazione fluviale, ereditata dal facoltoso zio.

La sua posizione gli permette svariati amori di fortuna, assaporati con vorace e spregiudicata sensualità, senza però tradire Fermina, per la quale conserva nel profondo un amore vergine e dannatamente paziente.

Un sentimento che è una sfida al tempo, ai cui effetti cerca in ogni modo di sottrarsi con la cura ostinata e maniacale di sé. Un amore che si trasforma in una gara a chi, tra lui e il dottore, saprà conservarsi più a lungo in vita. Una gara di resistenza, vinta con la strana morte del suo concorrente (a una certa età la morte non ha il senso del ridicolo).

Finalmente Forentino Ariza potrà confessare, alla donna che desidera da tutta una vita, l’indomito proposito di amarla per i giorni che restano a entrambi.

Il sogno può realizzarsi, nonostante la reticenza iniziale della donna e la vecchiaia che ha rattrappito i corpi e sopito ogni slancio.

I due si incontrano laddove si erano persi, ovvero nelle lettere scambiate di nascosto, nelle quali si raccontano della vita, dell’amore e del non senso della felicità. La possibilità concreta dell’amore impossibile.

Fermina si ritrova inspiegabilmente ad accogliere quell’amore, trasformandolo in occasione di riscatto e di ritrovata libertà. Entrambi scoprono con un certo stupore che è la vita, più che la morte, a non avere limiti.

Quella che spetta agli amanti tardivi è infine la vita scelta, così diversa da quella imposta dalle convenzioni sociali, dalla paura di amare oltre ogni ragionevolezza, convenienza o paura. Saltando l’arduo calvario della vita coniugale per andare dritti all’essenza dell’amore.

Il battello della libertà, con la bandiera del colera issata a protezione della loro felicità, li conduce avanti e indietro, insieme, in un lungo viaggio che somiglia alla speranza

Un libro che trabocca di poesia, nondimeno scorrevole e con perle di senso preziosissime. 

Le intermittenze della morte di Saramago: Recensione.

Il nostro blog riparte con una proposta di lettura per palati raffinati. Un Nobel per la letteratura: scusate se è poco!

Zar@

Recensione a cura di P. Traccis

Le intermittenze della morte è un romanzo di fantasia che, alla maniera di José Saramago, parla di realtà e scava nel profondo dell’umanità tutta intera.


Allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre di un anno imprecisato, in un Paese innominato: nessuno muore più. L’eternità si abbatte come un meteorite sul capo delle persone e delle istituzioni con tutte le difficoltà del caso. «Quali difficoltà?», direte voi. La vostra obiezione è più che comprensibile. Di primo acchito la prospettiva di non morire somiglia a un dono, il più grande e straordinario che la vita potrebbe riservarci. Non è forse il sogno dell’umanità fin dai suoi albori? Ciò che spiega gran parte della nostra cultura, dando un senso alle religioni, alla filosofia, alla poesia e all’arte (non omnis moriar…).

Tuttavia la comunità descritta dal premio Nobel portoghese, prende coscienza abbastanza in fretta del paradosso che caratterizza l’esistenza umana: la morte è essenziale alla vita.

Il vivere per la morte è l’unico vivere autentico e persino il solo ad essere praticabile.


Governo, compagnie di assicurazione, chiesa, maphia e senso comune devono fare i conti con la morte sospesa come col peggiore degli incubi, e ognuno studia una soluzione che permetta di salvarguardarne i vantaggi minimizzando gli intoppi o magari di speculare su entrambi.

L’enorme turbamento, causato dall’eccezionale interruzione della legge di natura, svanisce quando una busta viola viene recapitata ai media perché il contenuto venga letto a reti unificate.

La lettera autografa è della morte in persona, la quale annuncia la ripresa della sua attività, ma con una novità nella procedura rispetto al passato: con cadenza regolare, ogni persona destinata a morire ne riceverà comunicazione una settimana prima, attraverso una busta viola recapitata a domicilio.

Lo sconquasso delle morti sospese lascia il posto allo sgomento degli sfortunati (o fortunati?) destinatari delle missive viola.

Da un lato questi ultimi avranno il tempo di congedarsi dalla vita e dagli affetti e magari di togliersi qualche sfizio, quel tempo che è sempre mancato o che ha presentato agli uomini un conto talvolta molto salato. Quale occasione migliore della morte certa, per alleggerire i rimorsi di coscienza in un confessionale? Per chiedere perdono o riappacificarsi con qualcuno. O per abbandonarsi senza remore alle pulsioni represse.

Dall’altro però si precipita anzitempo nell’angoscia del tempo scaduto e del mai più.

Fortuna o sfortuna, così è deciso.
La morte riprende la sua meticolosa routine dalla profondità di un giaciglio freddo e spoglio, con la sola compagnia di una falce ferruginosa e muta.
Come una regina, domina di nuovo sul mondo, invincibile. Tuttavia non può gioire di questa condizione né condividerne gli aspetti dolorosi perché non può provare né gioia né dolore e nessun’altra emozione o sentimento, compreso l’amore. La carne e il sangue di cui è priva, nel suo essere di spirito e di ossa, rappresentano l’unico scacco dell’essere umano nei confronti della nera signora. Uno scacco che è la vita stessa, ciò che manca alla morte e al tempo stesso le permette di porre fine a quella altrui.

A questo se ne aggiunge presto un altro, inatteso e incredibile: una delle buste viola, diretta ad un violoncellista di mezza età, continua a tornare indietro ogni volta che la morte ne dispone la spedizione, senza mai raggiungere il destinatario, al punto che quest’ultimo compie 50 anni mentre sarebbe dovuto morire a 49. L’affronto inaccettabile la induce a recarsi di persona dall’uomo che era sopravvissuto a se stesso, assumendo sembianze femminili per poterlo avvicinare.

La consegna della lettera si dimostrerà meno facile del previsto.

La fredda esecutrice del destino degli uomini finirà con lo specchiare la sua solitudine in quella dell’ignaro musicista e sperimenterà qualcosa di più forte della morte stessa.


Una storia originale, acuta e divertente, per certi versi commovente. Una scrittura creativa, ironica e pungente, a tratti virtuosistica, ma senza mai appesantire troppo il lettore. Libro piacevole e senz’altro capace di ispirare una riflessione profonda sul senso della vita e della morte.

Per saperne di più sull’autore del libro:

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Jos%C3%A9_Saramago

Fuori dal tunnel

A cura di Zar@

Care lettrici e cari lettori del nostro amato blog, siamo tornati!

Sospesi nei nostri pensieri e desideri, per la pandemia che assorbe ogni concreta energia, ci siamo attardati un po’.

Sono stati mesi di sconquasso e riflessione, per noi come per tutti. Il nemico invisibile ci ha rubati alla nostra più grande passione: immaginare per essere. E scrivere di ciò che abbiamo immaginato.

Un nuovo modo di concepire il lavoro e l’esistenza ci ha obbligati a rivedere tempi e modi del nostro stare al mondo e del nostro raccontarci. Abbiamo disperato e sperato, pianto e riso per non piangere. Adesso guardiamo al domani con la fatica dell’oggi, il peso e la lezione dei mesi passati, tra lockdown e spensierata incoscienza estiva. Tra un’ondata e l’altra sentiamo di nuovo il bisogno di essere tra voi e, soprattutto, di essere noi. Anche questa è resistenza (non me ne vogliano i modaioli del linguaggio, ma odio l’abusatissima parola resilienza).

Da oggi si ricomincia: facciamoci compagnia! Salpiamo insieme, di nuovo e per la prima volta. La luna e le stelle ci guideranno.

Incontro con la solitudine 5: racconto in progress.

A cura di Zar@

Al mondo, tra umani, si è di reciproca utilità. Se avete più di 15 anni, probabilmente avrete ampiamente raggiunto tale consapevolezza.

Ve la portate nel cuore o la esprimete ad ogni nuova delusione, sperando di sbagliarvi, certi di muovervi nell’alveo della verità.


Prendete l’attrazione sessuale, questa scintilla che scocca tra due persone che si incontrano e ne accende i destini. Se la cosa è reciproca ci si sente eletti dal cielo, come legati da un filo invisibile e indistruttibile. Finché dura. Finché la fiamma non si spegne e la luce non si fa fiocca.


Se invece la cosa è a senso unico, si produce una relazione squilibrata, in cui uno dei due detta le regole e l’altro si adegua. Lo sfortunato amante non corrisposto si spende e si spande per entrare nelle grazie dell’amato e si carica di continue illusioni che vanno incontro a frustrazioni sempre più amare. Il primo è utile e il secondo indispensabile. Entrambi giocano, ma lo sfortunato ha già perso. Ha perso tempo, spesso denaro, energie e soprattutto dignità. Ha perso se stesso dietro un rapporto che galleggia sull’abnegazione e sullo sfruttamento della debolezza altrui per scopi egoistici.


C’è l’amore, direte. Chi ama non usa, si dona. Si consegna anima e corpo nelle mani dell’altro e si aspetta da lui la stessa cosa.
Il problema è proprio questa indomita aspettativa. Scambio, anche in amore è la parole d’ordine.


Da quando la solitudine è diventata mia amica, non mi sono sentita più sola
Non mi sono sentita più usata. Niente più scambio, Do ut tu des, ipocrisia che si misura con il tempo secco in cui retrocedi nel dimenticatoio, quando nella vita altri si fa strada chi è più utile di te.


I rapporti tra potenti e lacchè, li riconoscete dalla costanza del like ad ogni loro post più o meno insulso. Che v’importa di me e delle altre anime semplici, delle persone inutili, se potete contare sul favore temporaneo e labile del potente di turno?
Ci archiviate, come le email di SPAM.
Diventiamo un turno da dover rispettare, ma il dovere stanca e porta alla fuga anche le persone più allenate al numero. Perché il numero conta. Un like è sempre un like e più sono meglio è. Un contatto è pure un contatto, non si sa mai quando possa tornare utile. Non si spreca nulla e un pollice in su non si nega a nessuno, come risposta standard e ultimativa delle conversazioni che pesano, che impegnano senza tornaconto.


Tuttavia, prima o poi, dal pollice in su si passa al silenzio, all’assenza prolungata. In fondo non siamo mai stati veri amici…


Colui che esercita un potere si prodiga in azioni le più rivoltanti e sterili e quasi sempre ignora quanti attendono da lui la grazia. Perché l’utile è anche il suo criterio e un like è solo un like. Un contatto è solo un contatto e se non è utile prima o poi diventa un peso.


È il mio lavoro, dice qualcuno. Devo pure mangiare…
Si vive di solo pane è inutile farsi illusioni. Lo spirito è un incidente di percorso, il riflesso temporaneo di una fiamma destinata a spegnersi, quella della passione. Oppure il giro di parole di chi non si arrende alla verità, ma volens o nolens la incarna. Al mondo si è reciprocamente utili o soli.