Spazio al giallo, cari amici e care amiche. D’estate è una delle letture preferite dai vacanzieri, così come gli altri generi affini. Leggero, appassionante, senza troppe pretese, al tempo stesso può essere d’autore, come in questo caso in cui proponiamo la recensione di un classico. Il libro infatti è stato scritto dalla regina del giallo Agatha Christie.
La storia si ambienta nel castello di Chimneys, in Inghilterra. Un luogo di ritrovo per persone importanti che hanno un ruolo nell’economia e nella politica e che spesso lo usano per concludere affari e trattati internazionali.
Mentre un giovane avventuriero inglese proveniente dall’Africa viene incaricato di portare a termine una missione, consegnare delle lettere alla legittima proprietaria e lo scottante maniscritto conenente le memorie di un principe ad una casa editrice, nel castello si compie l’omicidio di un nobile balcanico, successore al trono del principato di Herzslovakia.
L’omicidio è avvolto nel mistero, che via via si infittisce, coinvolgendo il giovane avventuriero che viaggia sotto falso nome, l’affascinante nobildonna Virginia Ravel, l’enigmatico collezionista americano e la polizia internazionale.
Cosa c’è dietro l’omicidio? In che modo si collega alla fantasmagorica figura del ladro di gioielli soprannominato Re Victor? La storia, avvincente e con un finale sorprendente che è difficile aspettarsi o intuire, impegna il lettore nell’investigazione dall’inizio alla conclusione in perfetto stile Agatha Cristie.
Non è uno dei suoi migliori gialli, ma si tratta sempre di una lettura piacevole da fare sotto l’ombrellone.
I diritti delle opere citate sono dei rispettivi proprietari.
Eikasia ha ospitato le recensioni di diverse opere della giornalista e scrittrice sardo-russo-americana Francesca Mereu, recentemente scomparsa, all’età di 57 anni. Il nostro blog ne ricorda la figura e le opere attraverso l’analisi di una delle nostre penne più lucide e raffinate.
credit: Roger Stephenson Photography
Francesca Mereu, giornalista internazionale e scrittrice,nasce nel 1965 a Irgoli, in Sardegna, da una famiglia di artigiani. Quando dal Messico giunge la notizia della sua prematura scomparsa, nella casa natale c’è solo la madre Mariantonia Traccis, che tutti in paese chiamano Potoi. Suo padre Antonino è morto vent’anni prima.
Francesca amava la sua terra e il suo mare, le splendide spiagge, cale e pinete del Golfo di Orosei e come sempre si preparava a farvi ritorno per le vacanze estive, sebbene la Sardegna l’avesse lasciata molto presto, per laurearsi in Lingue a Firenze, approfondendo lo studio della lingua russa e inglese.
Nei primi anni Novanta, Francesca si trasferisce in Russia, dove lavora come giornalista e conosce il fisico Sergey Vassiliev, che diventerà suo marito. Vent’anni dopo si sposta in Alabama, negli USA, per seguire il marito scienziato. Prima del trasferimento oltreoceano, Sergey aveva ottenuto un incarico universitario a Düsseldorf, in Germania, dove la coppia trascorre due anni.
Pur essendo poliglotta e forse proprio per questo, quando rientrava nella sua isola, Francesca Mereu parlava principalmente il sardo, la sua lingua, nella consapevolezza che nelle parole ci sono le radici e che solo un albero con radici ben piantate può raggiungere le vette più alte.
Questa stessa consapevolezza, unita alla curiosità per la realtà altra da sé, ne faceva una giornalista e un’autrice, più che internazionale, cosmopolita.
Francesca, che viaggiava spesso e aveva nell’India una delle mete preferite, abitava il mondo con la passione per la vita propria della vera scrittrice.
Amava i luoghi e la gente, di cui raccontava la storia e la cultura per averle entrambe vissute, in modo puntuale e nel contempo partecipato. I suoi libri spaziano dalla cronaca giornalistica al viaggio emozionale, rigoroso e documentato, del romanzo storico, fino al pathos dell’opera teatrale.
Francesca Mereu aveva iniziato la carriera di giornalista come corrispondente daMosca e dalle Nazioni Unite per la radio americana Radio Free Europe/Radio Liberty, trascorrendo inoltre sei anni al The Moscow Times, per il quale si era occupata di giornalismo investigativo, coprendo la politica interna e i servizi di sicurezza russi. I colleghi di allora la ricordano con affetto per la “straordinaria personalità e le doti professionali“. I suoi reportage da Mosca sono stati pubblicati dall’International Herald Tribune, dal The New York Times e da numerosi giornali italiani.
Nel 2011 aveva esordito come scrittrice, pubblicando il suo primo libroL’Amico Putin. L’invenzione della dittatura democratica (per Aliberti Editore) e nel 2018 aveva replicato conIl Grande Saccheggio (per Le Mezzelane Casa editrice), dedicato alla difficile transizione della Russia dal Comunismo al Capitalismo, durante la quale erano emersi gli Oligarchi, nelle cui mani si era concentrata gran parte dei beni dell’URSS, smembrata e precipitata nel caos economico-sociale e nell’instabilità politica. L’autrice racconta come questi ultimi, in accordo con il KGB (divenuto FSB), avevano deciso di affidare le sorti proprie e dell’intero Paese al giovane, sconosciuto e apparentemente innocuo, uomo dei servizi segreti: Vladimir Putin.
A marzo del 2022, arriva in libreria anche il suo Putin. Dentro i segreti dell’uomo venuto dal buio. Da San Pietroburgo all’Ucraina (Aliberti Editore), presentato all’ultima edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino. Il libro approfondisce la figura dell’uomo del momento, con interessanti aggiornamenti riguardanti la guerra in corsoe la comunicazione datane dal Cremlino, che Francesca seguiva con attenzione viva, date anche le radici russe e ucraine del marito. Non a caso aveva deciso di devolvere il ricavato dalla vendita del libro alla popolazione ucraina.
La Mereu è stata anche autrice di libri ambientati nel profondo sud degli Stati Uniti, comeQuando mi chiameranno uomo?, pubblicato nel 2018 (Le Mezzelane Casa Editrice) e di diverse opere teatrali, due delle quali sono state pubblicate nell’aprile del 2016 nel libro Profondo Sud (Edizioni Tripla E). Opere dedicate alla nascita del Blues, nel contesto delle lotte per i diritti degli afroamericani.
Quello per il blues, da parte di Francesca, era un amore viscerale, che l’aveva portata a scriverne anche per importanti riviste italiane come Il Blues e Il Giornale della Musica, oltre che a realizzare svariati podcast per il suo blog.
A voler ricercare unfil rougenelle sue pubblicazioni, lo si potrebbe forse individuare nella difesa dei diritti umani, sempre dalla parte di coloro che sono oppressi da dittature, ingiustizie e discriminazioni.
Nel suo primo libro, la scrittrice illustra la figura del “dittatore democratico” Vladimir Putin, ricostruendo la storia del suo avvento al potere e descrivendo i metodi violenti e le tecniche di propaganda che gli hanno permesso di restare al potere, depotenziando l’opposizione, eliminando ogni voce di dissenso e creando l’ampio consenso dell’opinione pubblica nei riguardi della sua persona, che rappresenta uno dei punti di forza della sua presidenza.
Scrive Mereu: «Sotto Putin televisione e giornali hanno imparato a captare molto bene gli umori del potere e sanno per esempio che cercare il motivo per cui un reporter è stato ucciso non è cosa gradita al Cremlino».
L’autrice si spinge oltre, nel suo ultimo libro, facendo nomi e cognomi, in un lungo quanto triste elenco dei giornalisti che in qualche modo hanno rappresentato delle voci scomode per il Cremlino e che hanno perso la vita in “circostanze misteriose”, ufficialmente sganciate dalla loro professione. Tra questi c’è anche la Politkovskaja, giornalista della Novaja Gazeta nota per i suoi reportage sulla guerra in Cecenia, ritrovata morta nell’ascensore del suo palazzo a Mosca il 7 ottobre 2006.
Francesca Mereu aveva avuto occasione di intervistare tanti giornalisti russi sulla questione della libertà di stampa, argomento che le stava particolarmente a cuore, denunciando fino all’ultimo la censura e la repressione nei riguardi dei mezzi di informazione non allineati.
Al di là delle vicende storiche della Russia post comunista, l’aspetto più interessante delle sue opere è forse rappresentato dal racconto delle persone. Francesca racconta un’umanità sopraffatta dal trapasso, improvviso e violento, dal vecchio al nuovo sistema economico, sociale e politico.
I veri protagonisti sono la sua nuova famiglia: i genitori di Sergey, il nonno Ded Borya e la nonna ucraina; Marina, la docente che per mantenersi lavora part time come cuoca per una ricca dittaprivata; gli anziani disperati che inveiscono contro la cassiera del supermercato perché i prezzi sono diventati troppo alti per la loro misera pensione; la signora che chiede alla commessa di toccare la confezione rossa dei Ritz, accettando con imbarazzo i rubli della giornalista che vuole toglierle lo sfizio dei cracker occidentali; i colleghi giornalisti imbavagliati dal potere.
Con l’implosione del blocco sovietico, la Russia aveva perso il proprio ruolo di potenza egemone ed era precipitata nel caos. A traghettarla fuori dalla crisi sarebbero stati gli oligarchi, il colossale affare del gas e il loro uomo di fiducia Putin, il quale per tanti diventa il simbolo del ritrovato peso internazionale del proprio Paese.
Yeltsin aveva promesso che nella Russia in fase di ricostruzione ci sarebbero stati “milioni di proprietari e non una manciata di milionari” con la garanzia di pari opportunità per tutti. In realtà i russi vengono improvvisamente travolti da un capitalismo senza regole, fatto di termini incomprensibili ai più (come azioni, quotazioni, assets, mercato, borsa) e di speculazioni economiche e finanziarie. Nel contempo si definisce un quadro di dilagante illegalità, con il sorgere delle organizzazioni malavitose, sul modello italiano arrivato in Russia con film come Il padrino. Il libro spiega come questo cambiamento epocale abbia concentrato il potere economico nelle mani di pochi, destabilizzando e impoverendo le masse, predisponendo la società a guardare con favore all’uomo della Provvidenza.
A lasciare il segno nel lettore è lo scandaglio delle anime che attraversano questo complesso momento storico, con i suoi strascichi fino ai giorni nostri.
Lo stesso sguardo dal basso si coglie anche in relazione all’altro tema caro all’autrice: il lungo calvario degli afroamericani dalla schiavitù alla segregazione, alla criminalizzazione attuale.
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Quando mi chiameranno uomo? solleva, fin dal titolo, una serie di interrogativi: quanto è lungo il cammino verso la libertà e l’eguaglianza? Di quali atroci e insensate sofferenze è lastricato? Quando sarà che un uomo potrà essere chiamato semplicemente uomo, senza ulteriori e inutili specificazioni legate al colore della pelle o alla condizione sociale?
Il racconto si snoda lungo le strade e le città del profondo sud americano, tra queste Birmingham, in Alabama, città che aveva adottato Francesca Mereu, definita da Martin Luther King come “la più segregata d’America”. Si distribuisce nelle testimonianze di persone che hanno ereditato e tuttora vivono nel quotidiano una condizione di “diversa eguaglianza”.
Quelle narrate sono storie personali che si intersecano, ancora una volta, con la storia generale di una minoranza oppressa e martoriata, ancorché mai sconfitta. Raccontano di anime capaci di lotta e sublimazione della sofferenza nella magia del blues, genere musicale da cui Francesca era rimasta da subito folgorata. La giornalista ha intervistato alcuni tra i più grandi bluesman afroamericani, come Bobby Rush, il quale aveva ricordato come quel ritmo conquistò l’America e il mondo, dando origine al rock and roll.
Quest’ultimo era nato dal proposito commerciale di “riconfezionare e ripulire la musica nera per renderla adatta all’audience bianca”. Mereu spiega come il nuovo genere si sia appropriato della musica nera, spesso “dimenticandosi di citare gli autori e di pagare i diritti”. Ad esempio, artisti come i Rolling Stones dovevano tutto a Muddy Waters, rimasto per tutta la vita un umile imbianchino a fronte del successo internazionale della band. L’amore per il blues portava l’autrice, membra della Magic City Society di Birmingham, a frequentare assiduamente i locali in cui questa musica ancora oggi prende vita, oltre che a ospitare nella propria casa le esibizioni di vari bluesman.
Le vicende degli afroamericani sono raccontate in modo lineare, appassionante e onesto, senza celare al lettore gli aspetti più controversi, duri e scabrosi di una storia che contrasta con il sogno americano. Esso palesa infatti lo scandalo dell’ineguaglianza e della violenta sopraffazione nel Paese dell’opulenza, del modernismo e delle libertà.
Le parole dei protagonisti sono lacrime di umanità in un contesto di ingiustizia e disumana negazione di umanità, che ha origine nell’America schiavista, in cui nonna Marghareth «raccoglieva il cotone e componeva blues», nascondendo in fondo all’anima «il ritmo d’Africa che i genitori le avevano insegnato» che rappresentava «l’unica cosa che il padrone bianco non era riuscito a portarle via». Nella narrazione dei discendenti degli africani deportati come schiavi nelle piantagioni americane, si ravviva il ricordo delle storiche marce sotto la guida del dott. King contro la segregazione razziale, dopo la fine della schiavitù.
Ci sono le infinite battaglie che hanno portato a vittorie effimere, a continue ridefinizioni dell’odio e delle modalità di discriminazione e separazione, testimoniate ancora oggi dalla cronaca nella disparità di trattamento da parte delle forze di polizia e della Giustizia americana.
Gli stessi temi sono presenti nelle opere teatrali di Francesca, che uniscono la lucidità delle parole alla potenza della musica in un effetto altamente emozionale. Con i suoni tristi e taglienti del blues a lenire la pena, a ritmare le vite di coloro che ancora, nella denuncia forte dell’autrice, aspettano di essere considerati semplicemente e pienamente uomini.
Questa denuncia, insieme alla luminosità di un sorriso che conquistava tutti, è l’impronta profonda lasciata dall’autrice che ha voluto raccontare la storia e la contemporaneità dal punto di vista dei più deboli, con vicinanza attiva e sentita.
Quali sono le poesie che si imprimono nella nostra mente come chiodi ben piazzati, a tenere saldati pensieri ed emozioni, affinché non li perdiamo per strada? Quali e quante? La casa di Pavese è una delle mie preferite. La condivido con voi in questa calda mattina d’agosto, come una carezza amichevole.
L’uomo solo ascolta la voce calma con lo sguardo socchiuso, quasi un respiro gli alitasse sul volto, un respiro amico che risale, incredibile, dal tempo andato.
L’uomo solo ascolta la voce antica che i suoi padri, nei tempi, hanno udito, chiara e raccolta, una voce che come il verde degli stagni e dei colli incupisce a sera.
L’uomo solo conosce una voce d’ombra, carezzante, che sgorga nei toni calmi di una polla segreta: la beve intento, occhi chiusi, e non pare che l’abbia accanto.
E’ la voce che un giorno ha fermato il padre di suo padre, e ciascuno del sangue morto. Una voce di donna che suona segreta sulla soglia di casa, al cadere del buio.
Cesare Pavese
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Il libro del Premio Nobel colombiano racconta un fatto di cronaca nera come tanti: l’assassinio di Santiago Nassar. Si tratta di una storia basata su un fatto reale, un delitto d’onore compiuto dai fratelli Vicario, gemelli, i quali decidono di vendicare l’onore della verginità rubata alla sorella Angela in circostanze misteriose. A causa di Santiago Nassar, Angela era stata infatti ripudiata dall’agiato marito per un giorno, che aveva scoperto la macchia nel suo onore durante la prima notte di nozze.
Marquez racconta di un delitto che ha la caratteristica di essere annunciato. Tutti ne sono a conoscenza prima che si compia, perché gli assassini danno grande risalto alla notizia, vogliono che tutti sappiano ciò che accadrà, anche Santiago. Vogliono che si sappia e forse che si eviti, ma non sarà così.
Lo stile narrativo è quello della cronaca giornalistica, unita alla suspence e al ritmo incalzante del romanzo polizesco, con un tocco surreale di poesia che emerge dallo scandaglio delle anime.
Tutti sanno e nessuno fa niente per evitare che il destino di Santiago Nasar si compia, nessuno lo mette sull’attenti, nemmeno le affezionate amanti, che si limitano a guardarlo mentre gli va incontro. Questo stesso reagì senza panico, con lo sconcerto dell’innocenza. Santiago Nasar “morì senza capire la propria morte”.
Il racconto scorre in modo fluido e accattivante, ricostruendo le vicende di vita dei protagonisti e scavando nelle loro emozioni, con il passo sicuro e implacabile dell’ineludibile. Il lettore, stranito e rapito, non può fare a meno di constatare che ciò che deve si compirà, come nella più classica delle tragedie greche.
Andando oltre la trama e gli scambi verbali, ci si ritrova a riflettere sul paradosso del vivere umano. A somandarsi se il destino sia nelle nostre mani o in mani altrui e che differenza faccia.
La luce brillante della mattinata del delitto e il caldo sole dei Tropici contrastano con il buio freddo delle anime ritratte dall’autore, in un effetto di straniamento difficile da esprimere. Un libro grandioso, da leggere.
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La filosofia va ben oltre gli aforismi e le citazioni da esibire sui social network. È complessa analisi esistenziale e metafisica, politica, etica e sociale.
È pensiero che sbatte violentemente il grugno contro il limite, nel tentativo indomito di oltrepassarlo.
La filosofia è ciò che siamo diventati nel tempo.
Questo blog talvolta propone recensioni di opere filosofiche che hanno fatto la storia della nostra civiltà. Ogni tanto si ferma a un aforisma, per dare al lettore occasione di completarlo con il proprio pensiero e istinto, come auspicava Nietzsche. Oggi è un giorno di quelli. Di quelli da aforismi.
« Ciascuno esamini i propri pensieri: li troverà sempre occupati del passato e dell’avvenire. Non pensiamo quasi mai al presente, o se ci pensiamo, è solo per prenderne il lume al fine di predisporre l’avvenire. Il presente non è mai il nostro fine; il passato e il presente sono i nostri mezzi; solo l’avvenire è il nostro fine. Così, non viviamo mai, ma speriamo di vivere, e, preparandoci sempre ad esser felici, è inevitabile che non siamo mai tali. »
Estate è mare, ferie, relax e l’immancabile sottofondo di emozioni in musica.
Chiediamo scusa se non impazziamo per i nuovi generi musicali, per i suoni e le voci standard e artificiali, fintamente nuove e noiosamente piatte, per la “musica giovane” dalla discutibile qualità artistica (non entriamo nel merito del gusto personale, per definizione soggettivo).
Preferiamo spaziare, tra musica nuova e classica, italiana e internazionale, con un occhio alle novità di pregio e di nicchia (non facili da scovare nel marasma del mercato musicale che porta alle stelle alcuni e censura altri). Ci piace la musica buona e viva, significativamente piena in un tempo sempre più vuoto, con poche novità incoraggianti e tanto appiattimento di pensiero e valori.
Amici, confesso che mi ero persa il seguito di Shining, pur avendo adorato questo libro e l’indimenticabile film di Stanley Kubrick. Un’estate insolitamente bollente mi ha suggerito che fosse arrivato il momento di porre rimedio a questa dimenticanza. E così l’ho letto.
Come potete immaginare, mi preoccupava il confronto con un romanzo fortunato e amato, la possibilità di rimanere delusa dal suo sequel, preoccupazione condivisa con l’autore che scrive una nota a riguardo a fine romanzo. Inizio col rassicurarvi: così non è stato.
Per dirla tutta, inizialmente ho trovato la narrazione e la descrizioni dei personaggi un po’ pesante, a tratti noiosa. Tuttavia la storia promette bene fin da subito e non delude, soprattutto se si mette da parte la tentazione di voler eguagliare Shining.
Il romanzo segue le vicende di Dan Torrance, ormai cresciuto e alle prese con i problemi di alcolismo, legati al suo passato tormentato, all’esperienza dell’ Overlook Hotel, alla sua ingombrante quanto spaventosa luccicanza.
I genitori sono morti, così come l’amico Dik Halloran che ne condivideva le doti extrasensoriali. Danny è dunque solo e in balia di se stesso, dei suoi trascorsi e del suo potere. Lavora in un ospizio, dove aiuta gli anziani nel momento del trapasso dalla vita alla morte, guadagnandosi per questo l’appellativo di Doctor Sleep.
Proprio la necessità di lavorare lo porta a cercare di disintossicarsi, frequentando un’associazione di alcolisti anonimi.
Il problema è che proprio l’alcool permetteva a Dan di tenere a freno la luccicanza, per cui l’astinenza lo porta ad un’amplificazione di questo potere, che lo mette in contatto telepaticamente con Abra, ragazzina di 13 anni dotata anch’essa di luccicanza.
I due si scopriranno legati da un destino comune che va oltre lo shining.
Insieme si ritrovano a fronteggiare il terribile Vero Nodo, apparentemente un gruppo di camperisti giorovaghi, ma in realtà una terribile setta di creature subumane, che si nutrono della luccicanza dei bambini che hanno questa dote, chiamata vapore, dalla quale traggono lunga vita. Per appropriarsene in forma pura, sottopongono le giovani vittime ad agghiaccianti torture e successivamente le uccidono.
Abra diventa la loro prossima preda e insieme la nemica più temibile e Danny si ritrova invischiato in una storia che lo riporta indietro negli anni, alla sua infanzia, ai segreti della sua famiglia, fino all’Overlook Hotel e ai suoi mostri.
Il libro si snoda in un crescendo di suspence e brivido, nella lotta tra il bene e il male, facendosi sempre più avvincente e appassionante, nello stile di King.
Il libro rispolvera e completa la storia della famiglia Torrence e le vicende di Shining, con aspetti inattesi e la parziale riabilitazione di alcuni personaggi.
Doctor Sleep è all’altezza di Shining? Forse no, ma val decisamente la pena leggerlo.
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Care amiche e cari amici, eccoci di nuovo. È primavera. Primavera, rinascita o abiocco? Rivitalizzazione o crollo psicofisico da cambio di stagione e stress accumulato in lunghi mesi freddi e impegnati? L’eterno dilemma dell’uomo medio. O della donna media. Tra fiori, pollini e ormoni non esiste una sola risposta, ma è tutto un domandare per dare sfogo alla malinconia del tempo che passa. Lo scorrere del tempo, inesorabile, altra bella gatta da pelare, eterno dilemma: condanna o possibilità? Giovinezza perduta o maturità acquistata? L’uomo è un dilemma irrisolto.
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